CAP. II

IL FENOMENO CRIMINALE IN UN'AREA SIGNIFICATIVA

DELLA CAMPANIA: SALERNO

 

  

 

1.

La società e il crimine: le origini moderne

Come ha avuto modo di osservare G. Greco, in un interessante opuscolo sui "crimini e criminali a Salerno" nella metà dell'Ottocento, la criminalità "pone speciali problemi di ricerca e richiede una approfondita conoscenza della cultura, delle tradizioni, dei livelli di produzione, degli scambi commerciali, delle strutture e dell'andamento demografico, delle vie di comunicazione, dei mezzi di locomozione, del modo di pensare e agire della società che forma l'oggetto dello studio". A questo atteggiamento metodologico noi stessi ci siamo, in parte rilevante, ispirati.

Si tratta di esigenze che attengono tanto al "metodo storico" quanto alla "civiltà materiale", come lo stesso Greco non manca di far rilevare. Del resto, alcuni degli stessi filoni della criminologia, sia in campo "critico" che in campo "realistico", in misura costantemente crescente hanno fatto, seppur variamente, riferimento alle componenti culturali attinenti ai processi di formazione e definizione del crimine. Riteniamo, quindi, l'applicazione di tale impostazione al caso specifico salernitano un importante punto di sviluppo dell'analisi e di verifica del metodo.

Nei suoi tratti tipici generali il fenomeno della criminalità organizzata a Salerno non differisce dalle linee lungo le quali si è costituita e consolidata la camorra nel napoletano; tratti che abbiamo esaminato nel capitolo primo. Ci proponiamo ora di indagarne i tratti tipici e le forme particolari che essa è venuta assumendo a Salerno nel corso del tempo.

Durante le "guerre contadine", che sconvolgono nel Cinque e Seicento l'Europa e il Mezzogiorno d'Italia, prende consistenza e diffusione il fenomeno del banditismo, che perturba le strutture sociali e politiche del tempo; banditismo a cui i feudatari locali e gli spagnoli, però, non si peritano di far ricorso a più riprese, per le loro esigenze di "tutela dell'ordine". Il processo interessa anche il salernitano e, in particolare, l'Agro nocerino.

Il "banditismo sociale" si intreccia con un altro importante fenomeno: quello dei "capipopolo", nati proprio con l'intento di "proteggere" il popolo dalle bande di briganti. Entrambi i fenomeni hanno modo di manifestarsi ampiamente nell'Agro nocerino: "I Capipopolo o protettori del popolo e i loro affiliati si impegnavano di distruggere le bande di malviventi o briganti, che infestavano il nostro suolo. Però, continuavano ad esercitare il vecchio mestiere di ricattatori e davano al popolo solo delle briciole per tenerselo amico, in caso di bisogno".

Grazie agli "Annali" di Ovidio Fiorino, Sindaco e Notaio di Nocera dei Pagani, che ricostruiscono il periodo che va dal 1628 al 1690, siamo in grado di percorrrere le gesta delle principali bande dell'epoca: a cominciare dalla "banda Papone" (che, al tempo della rivolta di Masaniello, infesta tutta la Campania, arrivando a comprendere fino a 5 mila armati) e da quella di G. L. Lauria (che, dopo aver saccheggiato le valli del Sarno e di S. Severino, passa al servizio del Duca di Carafa, signore del feudo di Nocera dei Pagani).

Il periodo di massima espansione del fenomeno del banditismo coincide col "riflusso restaurativo" conseguente alla sconfitta della rivolta antispagnola, a cui i nocerini assicurano una consistente partecipazione: "Allora per reazione ed anche per timore di pagare col carcere la partecipazione alla rivolta, molti si diedero al brigantaggio, ma anche perché non avevano quasi nessuna possibilità di trovare un lavoro. Ma la ragione principale era che si trattava di individui abituati a vivere sfruttando la situazione, con l'imporre ai commercianti, ai ricchi ed anche ai contadini quel contributo, che, spesso, veniva loro dato quali difensori del popolo, ai capipopolo, che poi dividevano con i loro uomini". Da tutto il salernitano, d'altronde, l'appoggio alla sollevazione contro gli spagnoli è di grande rilievo qualitativo e quantitativo: si distingue particolarmente la figura, poi divenuta mitica, del bandito-rivoluzionario Ippolito da Pastena.

Per esigenze di tutela dai banditi, il Comune di Nocera dei Pagani istituisce un corpo di guardie notturne, denominate "maliziotti", che vengono dislocate nei punti strategici con regolari posti di blocco: "Il coprifuoco venne spontaneo e tutti i cittadini benpensanti non osarono mai allontanarsi di sera dal centro del paese, che era illuminato da piccole luci ad olio... Per secoli ancora i nostri antenati dovranno vivere, restando in casa la sera, senza poter uscire, perché non avranno dove potersi trattenere". Ed ecco le bande più importanti: "A S. Severino operava la banda di Nicola Crescenzo; nel villaggio Pecoraro di Nocera Superiore, Scaccetiello, che fu ucciso da Orazio Rapicano nella Chiesa di S. Maria del Carmine; Giovannangelo D'Auria soprannominato "Brenna Cotta" che operava in Pagani, alleatosi col suo parente Giovan Luca, mise assieme una Compagnia di 130 banditi. Quest'ultimo era talmente temuto, che veniva a pranzare, in una bettola del villaggio Barbazzano, sotto gli occhi dei soldati spagnoli, che, sempre sconfitti, non osavano molestarlo. Questi fece pagare a Giovanni Montefusco, che teneva una Banca privata, una taglia di 1200 ducati. Fra i banditi, il più feroce fu Tittarella, già compagno del Pastena (oggi a Salerno c'è il Rione Pastena), che si fermò in Basilicata, e fece più volte indietreggiare gli Spagnuoli". Così si esprime, in proposito, Ovidio Fiorino:"Non si può più praticare, et andare da un luogo ad un altro per li molti assassinamenti, et arrobarie, sequestrando le persone e portandole dentro ai boschi et altri luoghi remoti, con mille maltrattamenti, tormenti, mazze etiam con brugiargli braccia e piedi per far venire il recatto, che è meglio andare in potere dei Turchi et Mori, quali vogliono solo il recatto et non fanno strazii, così frequente usano questi nuovi barbari".

Dopo la peste del 1656, nel 1660 sorge una grossa banda che agisce in Pagani, quella di capitan Garsicchio che, fino al 1664, opera impunemente saccheggi ed estorsioni. Nel dopo-rivolta il fenomeno del banditismo è, fondamentalmente, caratterizzato da un'altra figura "circondata da fama leggendaria: il terribile ed ingordo Centanni. Questi fu un vero padrone, un despota temuto e rispettato da tutto il Cilento". Il brigantaggio entra a, buon diritto, come costume del tempo: "anche i soldati, mentre combattevano contro i briganti, commettevano loro stessi azioni da banditi; assalivano di notte le case dei pacifici contadini e le depredavano, violentavano le donne, assalivano le carovane dei mercanti e rubavano quello che volevano, si vendicavano selvaggiamente contro gli accusatori delle loro malefatte e spesso si liberavano anche di quei superiori che si mostravano troppo severi". Il decadimento dei costumi e il degrado etico-civile è testimoniato da altri e ancora più perniciosi fenomeni: "Ma più facinorosi degli stessi fuorilegge erano i ricchi ed i "legulei". I capitalisti, in maggior parte genovesi ed ebrei, esercitavano la più spietata usura, pretendendo dai malcapitati, interessi perfino del cinquanta per cento. L'amministrazione della giustizia era nelle mani di sfruttatori, avvocati, procuratori, mastrodatti, giudici ed altri uomini di legge che "strozzavano", spolpavano quei disgraziati che capitavano nei loro artigli, fino a quando non li avessero ridotto alla miseria. Così si vedevano passare facilmente intere fortune, ricchi e grandi poderi, palazzi, fondaci ed altri beni, da una persona all'altra, senza che si pagasse un soldo".

Il tremendo spaccato di quest'epoca terribile è completato dalle durissime e generali condizioni di miseria in cui versa la grande maggioranza della popolazione: "Conseguenza di tale assurda situazione fu la miseria. Si vedevano miseri vagabondi affamati, ridotti a scheletri umani, buttarsi su carogne di animali insepolti e divorare quella carne putrefatta. Si racconta che in quel di Sicignano, un montanaro si mangiò un figlioletto, buttandone i resti in una cunetta".

Alcune delle caratteristiche del fenomeno criminale che abbiamo appena finito di passare in rassegna si conservano nel tempo. Particolare rilievo assume l'intreccio delle funzioni della protezione con quelle dell'esercizio dell'autorità criminale. I depositari delle funzioni protettive sono i capipopolo, i quali esercitano anche funzioni oppressive nei confronti del popolo: la protezione diviene una professione che specializza e riproduce un ceto sociale abilitato all'esercizio legittimo della violenza in funzione antibrigantaggio. La massificazione del "banditismo sociale" induce una disarticolazione e una rielaborazione interne alla mappa del monopolio della forza intorno a tre figure/soggetti portanti:

 

a)

l'autorità statuale, nelle sue condotte di trasmissione dal centro alla periferia;

 

b)

l'autorità territoriale delle bande criminali;

 

c)

l'autorità intermedia dei capipopolo.

Il sistema dell'autorità si riarticola in una piramide che vede al suo vertice il potere statuale e alla base il potere criminale; nel mezzo, in funzione di contrasto del potere criminale e col fine di ricondurre la base territoriale sotto il governo del vertice, si ergono i capipopolo. In questa funzione di intermediazione dell'autorità statuale e neutralizzazione dell'autorità criminale, i capipopolo si ritagliano, ben presto, sfere di azione ampiamente autonome: finalizzano il contrasto del brigantaggio e il controllo del popolo all'insediamento e al consolidamento del loro potere corporativo, col palese proposito di divenire l'ago della bilancia dell'equilibrio sociale e politico. La protezione da essi esercitata sottrae progressivamente il popolo al controllo dell'autorità statuale e lo sussume direttamente sotto la loro propria autorità. Di fatto, si apre una competizione per il possesso della risorsa autorità tra Stato, banditi e capipopolo, all'interno della quale lo scontro tra i primi due è intermediato dai terzi che sottraggono autorità e legittimità a entrambi, gestendole in proprio. Questo sistema tridimensionale dell'autorità, fitto di intersezioni e di contrapposizioni, spiega perché spesso i capipopolo provengano da passate esperienze di brigantaggio e perché altrettanto spesso le classi al potere abbiano fatto ricorso ai briganti per l'esercizio delle politiche di sicurezza e la gestione dell'ordine sociale. Particolarmente sintomatico è l'arruolamento sistematico da parte degli Asburgo di Spagna di bande di briganti per la neutralizzazione di altre bande di briganti; consuetudine che è fatta propria dallo stesso Stato post-unitario, come abbiamo avuto modo di esaminare nel primo capitolo.

Le funzioni di protezione si articolano a tutti e tre i livelli della piramide dell'autorità che abbiamo identificato. Protezione statuale di vertice, protezione criminale territoriale e protezione intermediata dei capipopolo danno luogo a sistemi e sottosistemi relazionali relativamente autonomi e che, in maniera perversa, si giustificano, legittimano e causalizzano reciprocamente. Così, lo Stato combatte i banditi, ma se ne serve anche, arruolandoli per l'attuazione delle politiche della sicurezza; così, i capipopolo proteggono il popolo, ma lo taglieggiano anche con veri e propri sistemi di racket; così, i banditi combattono lo Stato, ma ne divengono i servitori contro altre bande e si trasformano periodicamente anche in capipopolo, legittimando lo Stato e continuando a taglieggiare il popolo allo stesso tempo. Il fenomeno, dalle relazioni dell'ordine interno, si trasferisce alle relazioni dell'ordine internazionale: non possiamo, difatti, dimenticare che il conflitto tra Francia e Spagna che ha insanguinato nel Cinque e Seicento il Mezzogiorno d'Italia (e Napoli e Salerno, in maniera particolare) si è combattuto anche attraverso l'arruolamento di contrapposte bande di briganti nell'uno e nell'altro schieramento.

Questo sistema tanto più si perverte quanta più emarginazione politica e povertà sociale produce: esso è impiantato proprio dalle necessità del potere costituito degli Asburgo di Spagna di conservare livelli alti di emarginazione e miseria nel Mezzogiorno d'Italia. L'impero spagnolo assegna al Mezzogiorno il ruolo di margine, di periferia sottosviluppata del centro sviluppato, le cui funzioni vengono ridotte:

 

a)

sul piano dell'ordine strategico internazionale: al contrasto del potere e dell'espansione delle altre potenze europee;

 

b)

sul piano dell'ordine economico dell'impero: a polmone finanziario per le esose casse della Corona.

In tale sistema, la crisi del centro e lo spolpamento del margine entrano in cortocircuito. Proprio quel centro che si regge sull'emarginazione e sull'immiserimento del margine lavora alla propria autocombustione, poiché produce da se stesso il venir meno delle condizioni su cui fonda il suo dominio. Proprio quel margine emarginato e immiserito fino all'estremo grado diviene una delle principali controtendenze avverso il mantenimento delle strutture di potere del centro. Da tali condizioni derivano dinamiche locali e globali altamente degradate sul piano ecologico-sociale e aspre e crude, se non crudeli, sul piano etico-politico. Esattamente il quadro che abbiamo visto esistere nella situazione salernitana.

Si consuma attorno a questi processi la lunga parabola dell'agonia degli Asburgo di Spagna nel Mezzogiorno d'Italia; agonia che, nel caso salernitano, si affianca al processo di decadenza della città che comincia nel 1419 (allorché Salerno diviene feudo di Giordano Colonna) e può dirsi ultimato con l'ultimo principe salernitano (Don Ferrante Sanseverino) che si rifugia in Francia nel 1551. La lunga storia del "sottosviluppo meridionale" (e salernitano) inizia col lungo dominio degli Asburgo di Spagna, nel corso di cui si stratificano, per così dire, delle vere e proprie costanti ambientali, assurte a caratteristiche tipiche del Mezzogiorno e che fanno sentire il loro peso e la loro presa fino all'età contemporanea. Vogliamo qui soltanto ricordarne alcune delle più rilevanti:

 

a)

la sovrapposizione continua, se non la confusione, tra il potere politico e il potere economico, sboccante inevitabilmente in una situazione di "statalismo protezionistico e parassitario";

 

b)

l'incardinamento dei "congegni delle forme di governo" sulla realizzazione della "straordinarietà degli interessi finanziari della Corona";

 

c)

l'allargarsi della base sociale della rendita, in tutte le sue forme di espressione, nel mentre i paesi europei più avanzati vanno a grandi passi marciando verso il "processo di transizione al capitalismo".

Il fatto è che: "La base sociale e storica della rendita si va restringendo; nondimeno, essa rimane perno del sistema sociale e del controllo politico nel Meridione italiano. Il Meridione non viene semplicemente ridotto allo stato di economia dipendente; ma, più esattamente ancora, viene trasformato in un "anello dipendente" di un'economia – quella spagnola – in via di crescente marginalizzazione storico-sociale". In questo quadro, criminalità e "banditismo sociale" divengono, se si passa l'ossimoro, patogenesi fisiologiche: processi perversi, ma razionali, attraverso cui il sistema cerca spontaneamente forme di autoregolazione, strumenti di bilanciamento, pesi e contrappesi che ne scongiurino o, perlomeno, rinviino la deflagrazione.

Come abbiamo visto, a Salerno l'esplosione del fenomeno del banditismo e di quello, in un certo senso, collaterale dei capipopolo avviene in un'epoca di decadenza politica e sociale della città che, da centro più importante del Mezzogiorno d'Italia, declina sempre più nelle gerarchie urbane e politiche: è "Napoli capitale" che, sempre più, la rimpiazza nella scala delle egemonie politiche e sociali meridionali. Nella generale situazione di crisi dell'intera regione e dell'intero Mezzogiorno, il declino di Salerno si fa ancora più traumatico. L'agonia politica, economica, civile e sociale della città fa da contenitore a ribollenti contraddizioni sociali e aspre tensioni politiche. Nel salernitano, la lotta di potere tra le famiglie e caste più potenti diviene estremamente violenta e furente, in un alternarsi di vicissitudini che ci portano con la mente indietro nel tempo: alla Firenze di Dante. D'altro canto, l'Agro nocerino-sarnese, il Cilento e la Piana del Sele (soprattutto Eboli) assurgono al rango di territori elettivi della formazione e della proliferazione di bande di briganti, tra le più pericolose e crudeli dell'intero Mezzogiorno. Questo scenario originario della modernità, relativamente alla situazione del potere politico-economico e alla situazione del fenomeno criminale, in molti ed essenziali tratti, lo rinveniamo operante nel Settecento e nell'Ottocento. Ancora oggi, in piena attualità, molti sono gli elementi cruciali di questo quadro originario che si conservano, miscelandosi con ancora più esplosivi fattori; come vedremo.

2.

Salerno e il crimine nella fase pre-unitaria

Dal contesto originario che abbiamo tratteggiato, spostiamoci a metà Ottocento. Ricorriamo alla citata ricerca di G. Greco, per cercare di illustrare i termini della questione, così come si presentano nella serie 1849-1853.

Cominciamo col disaggregare l'incidenza dei reati contro la persona, la morale pubblica, il patrimonio, lo Stato e l'ordine sociale per zone di montagna, collina e pianura, tenendo in conto la relativa popolazione e ricavando il conseguente rapporto reati/popolazione.

Tab. I

Zone

Persona

Morale

Patrim.

Stato

Popolaz

Reati

Reati su popola.

Mont.

417

60

347

89

247477

913

1/271

(%)

45,67

6,57

38,0

9,74

 

48,41

 

Collina

141

24

129

48

90437

342

1/264

(%)

41,22

7,01

37,71

14,03

 

18,13

 

Pianura

270

34

262

65

183137

631

1/290

(%)

42,78

5,38

41,52

10,30

 

33,46

 

Fonte: G. Greco, Crimini e criminali a Salerno. La delinquenza comune nel principato citeriore (1849-1853), Salerno, Laveglia,1980, p. 31.

 

Se passiamo alla valutazione del rapporto reati/popolazione per ogni tipologia di reato, il quadro è il seguente:

Tab. II

Zone

Persona

Morale

Patrimonio

Stato

Montagna

1/593

1/4124

1/713

1/2780

Collina

1/641

1/3768

1/701

1/1884

Pianura

1/678

1/5386

1/698

1/2817

Fonte: G. Greco, op.cit., p. 31.

Scomponendo l'intero territorio del Principato Citeriore per singole aree omogenee, il numero di reati e il rapporto reati su popolazione assumono questi valori:

Tab. III

Popolazione

Reati

Reati su popolaz.

Costiera Amalfitana

46.798

81

1/577

Agro nocerino

102.244

275

1/371

Agro di Mercato S. Severino

32.525

102

1/318

Valle dell’Irno

49.992

173

1/288

Valle del Tusciano

15.721

84

1/187

Valle del Basso Sele

23.738

101

1/235

Valle Alto Sele

29.083

103

1/282

Valle del Tanagro

32.037

159

1/201

Basso Cilento

30.811

119

1/258

Alto Cilento

9.634

50

1/192

Valle Alto Calore

23.653

110

1/215

Valle di Novi

10.045

49

1/205

Valle di Teggiano

57.155

255

1/224

Valle del Lambro

e del Mingardo

28.776

92

1/312

Valle del Bussento

17.937

67

1/267

TOTALI

510.149

1820

1/280

Nostra elaborazoione: Fonte G. Greco, op. cit., p. 30.

Articolando il dato per tipologia di reato, relativamente al rapporto reati su popolazione, abbiamo il seguente prospetto:

Tab. IV

 

Persona

Morale

Patrimonio

Stato

Costiera Amalfit.

1/1418

1/15.999

1/1337

1/1/4679

Agro Nocerino

1/889

1/294

1/844

1/3651

Agro di Mercato

S. Severino

1/650

1/4065

1/956

1/3252

Valle dell’Irno

1/657

1/7141

1/746

1/288

Valle del Tusciano

1/476

1/2620

1/462

1/1429

Valle Basso Sele

1/565

1/3391

1/608

1/1826

Valle Alto Sele

1/605

1/2423

1/807

1/4154

Valle del tanagro

1/438

1/4004

1/478

1/2912

Basso Cilento

1/700

1/2370

1/700

1/1711

Alto Cilento

1/458

1/2408

1/535

1/1376

Valle Basso Calore

1/438

1/3379

1/639

1/1971

Valle Alto Calore

1/590

1/5022

1/401

1/2009

Vale di Novi

1/363

1/2725

1/419

1/1817

Valle di Teggiano

1/505

1/3572

1/560

1/2381

Valle del Lambro

e del Mingardo

1/685

1/4100

1/799

1/4110

Valle del Bussento

1/484

1/5979

1/1055

1/1793

Fonte: G. Greco, op. cit., pp. 30-31.

Leggendo in maniera integrata le tavole, si perviene alla delineazione di una situazione generale di questo tipo:

a)

Zone di Pianura:

 

 

(i)

l’Agro nocerino si qualifica per avere il tasso più basso dii reati contro la persona;

 

(ii)

la Bassa Valle del Sele, in cui il circondario di Eboli fa registrare alti indici di criminalità, presenta tassi di reati contro la persona più elevati;

 

(iii)

ancora più elevata la percentuale di reati contro la persona nella Valle del Teggiano, con una percentuale rilevante di omicidi, ferimenti e percosse a Padula, Buonabitacolo e Casalbuono;

b)

Zone di collina:

 

 

(i)

consistenza del fenomeno criminale che si avvicina a quella delle zone di montagna;

 

(ii)

le punte più alte si registrano nel Basso e soprattutto nell'Alto Cilento;

 

(iii)

la Valle dell'Irno si avvicina ai valori del Basso Cilento;

c)

Zone di montagna (Hinterland):

 

 

(i)

la più alta incidenza dei fenomeni criminali si registra nella Valle di Novi: un reato su ogni 363 abitanti!;

 

(ii)

seguono le percentuali criminali registrate nell'alta Valle del Sele (con punte a Campagna, Oliveto e Castelnuovo); nella Valle dell'Alto Calore (con punte a Piaggine e Laurino); nella Valle del Bussento; nella Valle del Tusciano (con punte a Olevano, Montecorvino Rovella e Montecorvino Pugliano; nella Valle del Tanagro (con punte a Buccino, Ricigliano, S. Gregorio Magno); nella Valle del Basso Calore (con punte a Roccaspide, Castel S. Lorenzo, Ottati, Controne);

 

(iii)

meno virulenta, per l'azione calmieratrice della vicinanza di Salerno, l'attività criminale nella Valle del Lambro (con punte a Laurito e Roccagloriosa) e nell'Agro di Mercato S. Severino (con punte a S. Severino e Baronissi.

L'incidenza del crimine risulta meno rilevante nelle aree economicamente più avanzate: è questo il caso, in generale, delle zone di pianura. In queste ultime spicca l'Agro nocerino che vanta condizioni economico-agricole piuttosto progredite, in confronto alle altre aree del principato; ciononostante a Nocera, Sarno e Cava dei Tirreni si registrano alti tassi di criminalità. In una direzione di contenimento del crimine agisce anche l'economia cittadina di Salerno, la quale esercita un benefico influsso sulle aree immediatamente ruotanti attorno ad essa. La parte della Valle dell'Irno che più si stringe intorno a Salerno presenta un paesaggio produttivo-industriale popolato da ferriere, ramiere, concerie di pelli e fabbriche di argilla. La zona montuosa mantiene il più alto indice di criminalità ed è, al tempo stesso, quella che presenta strutturali tratti di indigenza e di arretratezza, dove i "braccianti, i contadini, i pastori vivevano ai limiti della sussistenza, in maniera certamente più misera rispetto ai già poveri contadini delle pianure e dell'ampia zona del vallo di Diano". Ora: "Nonostante le differenze, a volte anche notevoli, fra zona e zona, a riguardo dei reati contro la persona, è chiara e vistosa la presenza costante nell'intero Principato di questo tipo di reati, determinati principalmente dai costumi e dal profondo disagio economico del mondo rurale". La curva degli omicidi, entro questa tipologia di reati, è tanto preoccupante quanto sintomatica: l'omicidio diviene il mezzo privilegiato per la risoluzione definitiva delle controversie individuali o di gruppo. L'omicidio diviene il fine esplicito dell'esercizio della violenza individuale e infraindividuale.

Al pari degli omicidi per i reati contro la persona, lo stupro occupa il gradino più alto nella scala dei reati contro la morale pubblica. Sommando i reati di stupro con gli stupro mancati (45,76% + 11,86%), raggiungiamo ben il 57,62% della cifra complessiva dei reati contro la morale. Eccone la distribuzione territoriale:

Tab. V

 

Stupri

Stupri mancati

 

N.ro

%

N.ro

%

Costiera Amalfitana

1

1,85

-

 

Agro Nocerino

7

12,96

3

21,42

Agro di Mercato S.Severino

3

5,55

1

7,14

Valle dell’irno

3

5,55

1

7,14

Valle del Tusciano

2

3,70

-

 

Vallo del basso Sele

2

3,70

2

14,28

Vallo dell’alto Sele

4

7,40

3

21,42

Vallo del Tanagro

3

5,55

-

 

Basso Cilento

7

12,96

1

7,14

Alto Cilento

4

7,40

-

 

Vallo del basso Calore

4

7,40

-

 

Valle dell’alto Calore

1

1,85

-

 

Vallo di Novi

3

5,55

-

 

Valle di Teggiano

6

11,11

2

14,28

Valle del Lambro e del Mingardo

2

3,70

1

7,14

Valle del Bussento

2

3,70

-

 

TOTALI

54

45,76

14

11,86

Nostra elaborazione: Fonte G. Greco, op. cit., p. 27.

Il fenomeno è indicativo della grave situazione di oppressione cui sono sottoposte le donne e del decadimento generale dei costumi civili e morali. Le aree territoriali in cui il fenomeno, come mostra la tabella, è presente con maggiore dirompenza sono l'Agro nocerino, il Basso Cilento e la Valle del Teggiano. I dati sono particolarmente preoccupanti, in considerazione del fatto che trattasi di reato ad elevata soglia di oscurità, essendo la maggioranza dei casi di stupro (e di mancato stupro) non denunciati, per motivi fin troppo comprensibili.

Proviamo ad estrapolare gli aborti per effetto di percosse dai reati contro la persona, associandoli nella lettura ai reati di stupro:

Tab. VI

 

Aborti per effetto di percosse

 

Numero

%

Costiera Amalfitana

-

 

Agro nocerino

2

16,66

Agro di Mercato S.Severino

1

8,33

Valle dell’Irno

1

8,33

Valle del Tusciano

-

 

Valle de basso Sele

2

16,66

Valle dell’alto Sele

2

16,66

Valle del Tanagro

1

8,33

Basso Cilento

1

8,33

Alto Cilento

-

 

Valle del basso Calore

1

8,33

Valle dell’alto Calore

-

 

Valle di Novi

-

 

Valle di Teggiano

1

8,33

Valle del Lambro e del Mingardo

-

 

Valle del Bussento

-

 

TOTALI

12

 

Nostra elaborazione: Fonte G. Greco, op. cit., p. 26.

Come si evince dalla tabella, i valori più alti si registrano nell'Agro nocerino e nel basso e alto Sele. Questo tipo di reati "chiude" e rende ancora più drammatici i livelli di violenza esercitati contro le donne, a ulteriore conferma della particolare asprezza dei costumi e dei riferimenti valoriali dell'epoca.

Ancora più chiara luce si getta su questi terribili reati, se si prende in considerazione l'età e la posizione sociale dei rei di stupro e di mancati stupri:

Tab. VII

 

Età

%

dagli 11 ai 20 anni

21

26,92

dai 21 ai 30 anni

27

34,61

dai 31 ai 40 anni

6

7,69

dai 41 ai 50

14

17,94

dai 51 ai 60

10

12,82

 

Posizione sociale

%

salariati agricoli

28

35,89

salariati

13

16,66

impiegati statali

1

1,28

commercianti

7

8,97

artigiani

11

14,10

borghesia rurale

3

3,84

professionisti

1

1,28

militari

5

6,41

sacerdoti

7

8,97

esclusi

2

2,56

Totale

78

 

Fonte: G. Greco, op. cit., p. 47.

Riportiamo ora l'età delle vittime di stupri e mancati stupri:

Tab. VIII

Età

Numero

%

sino a 10 anni

6

9,70

dagli 11 ai 20 anni

51

82,25

dai 21 ai 30 anni

4

6,44

dai 31 ai 40 anni

1

1,61

Totale

62

 

Fonte: G. Greco, op. cit., p. 48.

L'insieme dei dati riportati nelle tabelle mostra chiaramente le caratteristiche di una criminalità di tipo rurale, palesata dalle particolari recrudescenza e asprezza della violenza a base omicida e sessuale. Caratteristica confermata dall'andamento dei reati contro il patrimonio e contro lo Stato. Come abbiamo visto dalla tabella I, i reati contro il patrimonio si collocano, per consistenza, dietro quelli contro la persona. Essi si attestano al 38% nelle zone di montagna; al 37,71% nelle zone di collina; al 41,51% nelle zone di pianura. Per conto loro, i reati contro lo Stato raggiungono il 9,74% nelle zone di montagna; il 14,3% nelle zone di collina; il 10,3% nelle zone di pianura. Possiamo scomporre ulteriormente il dato:

 

REATI CONTRO

 

 

IL PATRIMONIO

Numero

%

Abigeati

2

0,27

Danneggiamenti

15

2,03

Danni forestali

32

4,23

Frodi

13

1,76

Furti

473

64,09

Furti incompetenza

102

13,82

Furti libertà provvisoria

25

3,88

Furti mancati

28

3,79

Incendi

24

3,25

Inumazioni non autorizzate

2

0,27

Ricettazioni

15

2,03

Saccheggi

7

0,94

TOTALE

738

 

REATI CONTRO LO STATO

 

 

E L’ORDINE SOCIALE

Numero

%

Asportazioni armi vietate incompetenza

67

33,16

Attacchi, resisten., ing. forz. pub.

60

29,70

Atti arbitrari

2

0,99

Comitive armate

3

1,48

Contrabbando tabacco

5

2,47

Corrispondenza malfattori

1

0,49

Detenzioni stampati

4

1,98

Falsità scritture

5

2,47

Tab. IX

(segue)

REATI CONTRO LO STATO

 

 

E L’ORDINE SOCIALE

Numero

%

Fughe carceri

21

10,39

Mutilazioni per inabilitarsi al servizio militare

2

0,99

Schiamazzi notturni

1

0,49

Spaccio monete

3

1,48

Trasgressioni agli obblighi allontanamento

14

6,93

TOTALE

202

 

Fonte: G. Greco, op. cit., pp. 27-28.

Nel quadro dei reati contro il patrimonio, i furti assommano complessivamente ben all'81,79%; seguiti dai danni forestali (4,23%),dagli incendi (3,25%) e dalla ricettazione (2,03%). In quello dei reati contro lo Stato e l'ordine sociale, il primato spetta all'asportazione di armi vietate (33,126%); seguono gli attacchi e le resistenze alla forza pubblica (29,70%), le evasioni (13,9%), le trasgressioni agli obblighi di allontanamento (6,93%). 0sserva G. Greco: "Nell'ambito dei reati contro il patrimonio, i furti rappresentavano una costante netta e caratterizzante per tutto il territorio esaminato... con apici particolari nell'agro nocerino e nella valle del Teggiano... Logica conseguenza della gran messe di furti compiuti le frequenti ricettazioni". Si tratta di una tipologia di reati che è estremamente indicativa dello stato di miseria e ristrettezza in cui versano gli strati sociali inferiori e, più ancora in generale, di una economia rurale-contadina con bassi livelli di sussistenza. In particolare, il reato dei danni forestali è "indicativo dello stato di miseria e di disgregazione dominante nella valle del Tusciano e in parte del Principato". Altrettanto indicative sono la frequenza e la modalità dei reati contro lo Stato e l'ordine sociale: "Attacchi e resistenze contro agenti di forza pubblica erano caratteristica frequente di molte zone del Principato. Si trattava o di ritorsioni della gente del luogo contro l'arroganza e la tracotanza degli urbani, o di opposizione a mandati di deposito, o erano un impedimento agli ufficiali giudiziari a compiere sfratti, pignoramenti, ecc. Dove più depresso era lo stato dell'economia, dove più forti i conflitti sociali, dove più alta la disoccupazione, là numerosi e replicati risultavano gli scontri con la forza pubblica, facendo altresì registrare l'esistenza di comitive armate".

In tale contesto socio-economico, si crea un circolo criminale chiuso: nel senso che, nella grande maggioranza dei casi, rei e vittime finiscono egualmente con l'appartenere alle classi sociali subalterne. Vediamo il relativo quadro:

Tab. X

 

REI

VITTIME

 

N. ro

%

N. ro

%

Salariati agricoli

1097

54,17

631

38,38

Salariati

321

15,85

297

18,06

Impiegati statali

37

1,82

58

3,52

Commercianti

124

6,12

197

11,98

Artigiani

79

3,90

123

7,48

Borghesia rurale

65

3,20

184

11,19

Professionisti

7

0,34

72

4,37

Militari

41

2,02

59

3,58

Sacerdoti

19

0,93

18

1,09

Esclusi

235

11,60

5

0,30

TOTALE

2025

 

1644

 

Fonte: G. Greco, op. cit., pp. 65, 72.

Rileva pertinentemente G. Greco: "La chiave di volta della criminalità comune del Principato era proprio costituita dalla condizione economica di questa classe [salariati agricoli], che alternativamente esprimeva rei e vittime accomunati dallo stesso magro livello di vita e dalla grave disgregazione sociale... coloro che avevano tutto da guadagnare e niente da perdere erano quelli che la società stessa, in virtù dei suoi meccanismi, emarginava e spingeva sulla strada del delitto in un assurdo e pericolosissimo circolo vizioso".

Il circolo dell'emarginazione finisce col coincidere drammaticamente col circolo della criminalità, al punto che il crimine diviene la più efficace, se non l'unica, risorsa attiva lasciata in mano all'emarginato. Questo circolo chiuso produce e moltiplica le proprie culture e i propri saperi, sia in termini di sopravvivenza che in termini di giustificazione sociale e legittimazione etica. Al progressivamente più largo divario tra classi superiori e classi inferiori si affianca un crescente processo di estraneazione tra gli strati sociali più bassi e lo Stato. Gli istituti e apparati di legittimazione e di controllo di quest'ultimo posizionano una esternalità repressiva che non vale ad avviare a risoluzione le gravi problematiche sociali; anzi, le acutizza e moltiplica.

3.

La spirale camorristica e i quadri sociali sottostanti

La panoramica sulle origini moderne e sulla situazione pre-unitaria ci ha consentito di fissare alcune delle variabili storico-antropologiche fondamentali su cui si sono innestati formazione e sviluppo della camorra in questi ultimi venti-trent'anni, con i relativi processi di trasformazione.

I punti caldi del fenomeno camorristico nel salernitano si concentrano e articolano intorno a un sistema territoriale fortemente integrato, per quanto solcato da non irrilevanti differenziazioni interne. L'Agro nocerino-sarnese, la Piana del Sele e l'area urbana salernitana, di questo sistema, costituiscono i nodi forti.

È con gli inizi degli anni '70 che l'espansione della camorra nel salernitano assume aspetti preoccupanti. In tale tornante storico, il ruolo propulsivo principale è assunto dall'Agro nocerino-sarnese. Il sistema territoriale dell'Agro nocerino-sarnese si trova in una collocazione geo-politica ed economico-sociale di filtro intercomunicante tra la grande area metropolitana napoletana e la più ridotta area metropolitana salernitana. Siffatta posizione lo trasforma in collettore di ricezione di alcuni dei fenomeni urbano-sociali e delinquenziali-criminogeni provenienti da entrambe le aree metropolitane.

Gli anni '70, in conformità ad alcune tendenze attive sul livello nazionale e internazionale, assistiamo a un timido accenno di fenomeni di contro-urbanizzazione e de-urbanizzazione anche in Campania; contrariamente a quanto succede in quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia. In Campania gli embrioni di contro-urbanizzazione e de-urbanizzazione si localizzano e concentrano, appunto, attorno alle aree urbano-metropolitane di Napoli e di Salerno, facendo dell'Agro nocerino-sarnese uno dei maggiori ricettori dei loro effetti. Agli inizi degli anni '80, i tredici comuni che compongono l'Agro arrivano ad assommare più di 350 mila abitanti, con una densità di 15 abitanti per ettaro. Le punte di questo fenomeno di crescita urbana si registrano a Pagani e Nocera, con una densità rispettivamente di 25 e 23 abitanti per ettari.

L'Agro nocerino-sarnese costituisce uno dei sottosistemi più vitali e attivi del sistema urbano policentrico che ha progressivamente sottratto all'area urbana di Salerno importanti funzioni, prestazioni e competenze urbane e produttive. Già agli inizi degli anni '80, il suo arredo industriale è formato da più di cento fabbriche medio- piccole; la sua agricoltura è una delle più fertili della zona e dell'intero Mezzogiorno; è dotato di tre grandi mercati ortofrutticoli all'ingrosso.

Registriamo, già a questo livello di indagine, uno scarto di non lieve entità a confronto di alcuni dei patterns criminogeni che abbiamo visto connotare il periodo storico moderno e quello preunitario.

L'autorità criminale spezza definitivamente il carattere tridimensionale del monopolio della forza, assorbendo al suo interno le funzioni che, nel Cinque e Seicento, sono proprie dei capipopolo. Le funzioni della protezione sono ora diretta emanazione dell'esercizio della violenza criminale, a misura in cui:

 

a)

la rete dell'azione criminale si amplia al suo interno, attraverso la dilatazione dei meccanismi del reclutamento, i quali fungono contestualmente come veicolo di radicamento e mobilità sociale per i soggetti del crimine;

 

b)

il dispositivo camorristico allarga al suo esterno il territorio della sua influenza e il numero delle figure e dei soggetti vittimizzati.

Il fenomeno trova il suo elemento motivazionale fondante nel passaggio dalla dipendenza nella dipendenza, inaugurata nell'Agro nocerino-sarnese (e nel Mezzogiorno intero) dal modello storico degli Asburgo di Spagna, allo sviluppo nella dipendenza che, negli anni '70-80, caratterizza alcune aree attive del Mezzogiorno italiano (e, tra queste, l'Agro nocerino-sarnese). Le dinamiche dello sviluppo polarizzato e dell'urbanizzazione polarizzata definiscono nuovi assetti territoriali, stimolando in alcuni sottosistemi urbani processi di crescita economica e sociale, su cui la criminalità organizzata, ben presto, allunga i suoi tentacoli.

In linea generale, trascorriamo qui dai modelli della devianza e della criminalità da sottosviluppo alla devianza e alla criminalità da sviluppo, in ragione direttamente proporzionale ai vuoti della presenza politico-istituzionale e all'ipertrofia dei fenomeni di burocratizzazione e inefficienza amministrativa. Del resto, tali vuoti e tale ipertrofia sono da ritenersi fisiologicamente connaturati ai modelli di sviluppo polarizzato e urbanizzazione polarizzata progettati e attuati nel Mezzogiorno d'Italia, in opera a Salerno nel ventennio che va dagli anni '50 agli anni '70. Soltanto modelli non polarizzati di sviluppo economico e di urbanizzazione possono scongiurare le controfinalità della stimolazione non voluta del fenomeno criminale.

Lo scenario che abbiamo visto sussistere nella fase pre-unitaria muta radicalmente. Non ci troviamo più di fronte a una criminalità di tipo rurale-contadina, rispondente e funzionale a livelli di grande arretratezza economica e basso livello di complessità sociale, entro cui l'azione criminale può essere assunta come una strategia di sopravvivenza in condizioni storiche di degrado etico-civile e di miseria materiale e culturale generalizzata. La dilatazione dei modelli camorristici e la proliferazione dell'attività criminale divengono la faccia oscura dello sviluppo e dell'urbanizzazione polarizzati, uno dei loro "effetti perversi". Sviluppo polarizzato e urbanizzazione polarizzata, oltre che modificare il paesaggio urbano-industriale del salernitano (e del Mezzogiorno), insediano un modello di vita che, al pari dell'american way of life nell'America degli inizi del Novecento, alimenta comportamenti, opzioni e costumi che tagliano trasversalmente tutta intera la società e tutti quanti gli strati sociali. Non è più nelle sacche dell'estrema indigenza che il fenomeno criminale trova la sua spinta più consistente. Con lo Stato e le sue istituzioni periferiche, la criminalità apre una competizione:

a)

non unicamente per il possesso della risorsa autorità, come ancora in epoca moderna;

b)

non unicamente per la sopravvivenza della comunità locale, come ancora nella fase pre-unitaria e post-unitaria. Ora la camorra, con lo Stato e le sue istituzioni periferiche, apre una competizione:

c)

per l'appropriazione violenta dello sviluppo, su cui intende impiantare una crescita ipertrofica dei suoi margini di azione e di profitto.

Il radicamento e il rapido sviluppo della camorra nell'Agro nocerino negli anni '70 si inserisce in questo processo e risponde alle esigenze di questo nuovo modello dell'azione criminale e dei relativi quadri di finalizzazione e legittimazione. Sono gli standards di complessità e differenziazione sociale del contesto sistemico salernitano, con i relativi flussi di comunicazione e trasmissione con il livello regionale e i livelli inter-regionali (dentro e fuori il Mezzogiorno), che vanno ora assunti come lo "spazio" del fenomeno camorristico. Tutto intero il tradizionale meccanismo della protezione connaturato alla mediazione violenta esercitata dall'azione criminale viene, per così dire, "rifondato", provocando non lievi conseguenze nella trama Stato/società civile/criminalità.

La progressiva attrazione delle funzioni di protezione nell'orbita del dispositivo camorristico crea un sistema duale Stato/criminalità, per quanto concerne il monopolio della forza; inoltre, sottrae alla mobilitazione collettiva e ai soggetti sociali notevoli e perspicue sfere di espressione.

Le due circostanze congiurano insieme nel depotenziare progressivamente i processi di alimentazione ed espressione dei movimenti collettivi, pure prerogativa assolutamente originaria del Mezzogiorno moderno: dalla "congiura di Campanella" alla "rivolta di Masaniello" e alle "rivolte sociali" del Seicento. La conflittualità sociale (in tutto il Mezzogiorno, non soltanto a Salerno) resta costantemente sospesa e irrisolta tra un "antico" mai superato e un "contemporaneo" mai compiutamente elaborato, dimidiata e dissociata nel suo ordito simbolico e motivazionale. Il ciclo che va dalle occupazioni delle terre del secondo dopoguerra alla rivolta di Reggio Calabria nel 1970 non riesce a sottrarsi alla presa di questa irrisolta eredità. Nemmeno le grandi lotte civili e sociali nel Mezzogiorno degli anni '60-70 e la partecipazione degli operai immigrati meridionali all'autunno caldo; nemmeno le lotte per il lavoro dei disoccupati organizzati napoletani negli anni '70 riescono a dare risoluzione a questo dilemma, per definire un sistema di identità singole e collettive più forte, articolato e cogente al tempo stesso.

L'irrisolta identità degli attori sociali ha un'ulteriore e non meno rilevante causale (a Salerno come in tutto il Mezzogiorno): l'imbottigliamento del potenziale delle risorse pubbliche e della mobilitazione sociale nelle secche del mercato del clientelismo politico. Di fatto, l'unica alternativa che il sistema politico-istituzionale offre alla protezione camorristica è l'accesso alla rete della clientela politica: quanto più stretta è questa, tanto più larga risulta quella; quanto più selettiva è questa, tanto più espansiva risulta quella. Su questa patogenesi si avvita e prospera la spirale camorristica; non fosse altro perché la fertilizzazione del tessuto criminale è effetto diretto della sofferenza in cui giace la società civile. A sua volta, la lievitazione della presenza camorristica agisce come causa ulteriore della compressione della società civile.

Nasce da qui il nuovo circolo chiuso:

a)

non più l'autoriproduzione della criminalità all'interno delle classi sociali subalterne più marginalizzate;

b)

bensì la germinazione del fenomeno criminale da una società civile atrofizzata che, anche a cagione del crimine, va sempre più disgregandosi e perdendo vitalità e autorità.

Nell'Agro nocerino-sarnese, le tendenze generali che abbiamo appena colto sono rilevabili con nettezza già nella seconda metà degli anni '70. Intorno al 1977-78 le organizzazioni camorristiche più forti, quelle che fanno capo al famoso Salvatore Serra ("Cartuccia"), rimodellano e rifinalizzano la loro propria attività, incardinandola direttamente sui settori economicamente più forti della zona: l'industria conserviera e i mercati ortofrutticoli. Non viene abbandonata, del pari, la tradizionale attività di intermediazione nelle campagne e si iniziano a proiettare attenzioni e coltivare interessi nel ramo degli appalti pubblici.

Secondo il Commissariato di PS di Nocera, in questo periodo, la criminalità conosce un incremento dell'ordine del 30%. Alle attività tradizionali ruotanti attorno al contrabbando delle sigarette e allo sfruttamento della prostituzione, si aggiungono quelle di tipo nuovo che trovano nel mercato della droga, nel sistema della speculazione edilizia e della speculazione urbana che intorno alla disapplicazione costante dei Piani regolatori generali trovano i loro proficui baricentri. A fronte di queste nuove necessità, vengono costituite "società fittizie" direttamente nelle mani della camorra. A causa della proliferazione di queste nuove modalità dell'azione criminale, accanto ai tradizionali reati contro il patrimonio, contro la persona e lo Stato, subiscono un'impennata i reati di corruzione, di peculato, di abuso e di frode. La consistenza e la persistenza del fenomeno camorristico, così, fanno pericolosamente intersezione con una tipologia di reati classicamente definiti "white collar crime", a testimonianza ulteriore del livello di penetrazione e diffusione nella società civile e nelle stesse istituzioni locali da parte del crimine organizzato.

La crisi del Welfare, tra la fine degli anni '70 e tutti gli anni '80, accentua nel Mezzogiorno il fenomeno del distacco tra istituzioni e cittadinanza, soprattutto nei confronti della fasce sociali più deboli e meno garantite (giovani e disoccupati). Col che si bloccano non soltanto le politiche della sicurezza sociale, ma si inceppano i meccanismi della rappresentanza politica. Ne consegue che il sistema politico-istituzionale sempre meno riesce a far fronte alle domande e alle aspettative della cittadinanza; sempre meno riuscendo a predisporre presidi validi ed efficaci contro il dilagare della criminalità organizzata. Di fronte alla crisi dell'offerta di Welfare, è la camorra che offre prestazioni e servizi sotto forma di Welfare criminale. Prestazioni e servizi che ricoprono una gamma vastissima e articolata di "bisogni elementari" e "bisogni evoluti", distendendosi dall'impiego del "tempo di lavoro" all'uso del "tempo libero" e del "tempo ludico".

Non è un caso che proprio in concomitanza di questi processi, sul finire degli anni '70, si intensifichi quanto mai la guerra tra gruppi camorristici rivali, con numerosi morti eccellenti e numerose vendette trasversali. Nell'essenziale, questa fase delle "guerre di camorra" si gioca intorno all'obiettivo strategico della neutralizzazione del potere di "Cartuccia" nell'Agro nocerino-sarnese, da parte di quei gruppi camorristici che ruotano nell'orbita di Cutolo e che, il 24 marzo 1978, danno formalmente vita alla Nuova Camorra Organizzata. Essa fase può, pertanto, ritenersi definitivamente conclusa con la morte del "Cartuccia" nel carcere di Ascoli il 31 ottobre del 1981.

Il persistente legame della camorra con le attività agricole principali dell'Agro nocerino-sarnese e della Piana del Sele non deve trarre in inganno, facendo erroneamente concludere che trattasi di sopravvivenze residuate da una criminalità di tipo rurale-contadino. La competizione camorristica in vista dell'appropriazione dello sviluppo si indirizza verso tutti quei settori produttivi che integrano indici di trasferimenti finanziari e finanziamenti pubblici di una certa rilevanza. L'agricoltura è certamente uno di questi settori, soprattutto in considerazione del volume dei finanziamenti comunitari. In secondo luogo, ma non marginalmente, lo stesso mercato fondiario è fortemente appetibile, sia in funzione di riciclaggio del denaro sporco che per la messa in opera di attività speculative, consistenti nella "sottrazione dei suoli all'attività agricola" e nel "blocco sostanziale ai fini produttivi e agricoli (tranne, naturalmente, agli acquisti decisi dalla camorra e dalla mafia)". Soprattutto, a Caserta, Napoli e Salerno ingente è stato l'acquisto di terreno agrario da parte della camorra. Ma vediamo meglio l'ambito di intervento specifico della camorra in agricoltura:

"a.

speculazione e acquisto di terreno agrario;

b.

esercizio del credito usuraio ai coltivatori in difficoltà;

c.

specializzazione ulteriore nell'accaparramento di fondi pubblici destinati all'agricoltura e nell'organizzazione di truffe legate ai vari interventi AIMA e comunitari;

d.

presenza nella produzione e commercializzazione agro-alimentare".

La tradizionale presenza della camorra nei mercati agricoli e finanziari dell'Agro nocerino-sarnese e della Piana del Sele ha subito una notevole modernizzazione in queste direzioni, a partire proprio dagli anni '70. Col passare del tempo, la camorra ha finito con lo stabilire una sorta di controllo oligopolistico sulle attività produttive tipiche della zona. Il rigonfiamento dei parametri previsti dalla normativa CEE procede di pari passo con la fatturazione falsa della "banda stagnata" per i contenitori del prodotto finito; con la fatturazione falsa delle ore lavorative; con le prestazioni previdenziali per il trattamento di malattia oltre il periodo del lavoro stagionale, etc. Osserva C. Nardone: "In questa fase si è svilupppata, nell'area interessata al pomodoro, una vera e propria "azienda" per gestire la truffa all'INPS, ricattando e controllando medici, funzionari delle USL e dell'INPS, controllando o intimidendo il collocamento ... Un dato particolarmente significativo: la sola INPS di Nocera nel corso del 1988 ha complessivamente erogato circa 6 miliardi per copertura malattie e maternità. Nel corso dell'anno precedente l'importo non ha superato i 2 miliardi. Un incremento del 200% non può certo essere accreditato agli altri settori che registrano, per lo più, riduzioni occupazionali".

Sulla scorta di tali evidenze, ben si comprende come proprio intorno al monopolio delle attività illegali nell'Agro nocerino-sarnese e nella Piana del Sele si consumino conflitti violenti tra i vari gruppi camorristici, per la conquista dell'egemonia. Tutte le formazioni camorristiche di vecchio tipo, come quella di "Cartuccia" nell'Agro nocerino-sarnese, sono prese di mira da formazioni di tipo nuovo, le quali assumono nuovi modelli di azione e nuove strategie di penetrazione nel territorio, alla cui direzione vi è una nuova leadership criminale. La Nuova Camorra Organizzata di Cutolo diventa il punto di coagulo di questi nuovi processi formativi, a livello regionale e infraregionale; di essa abbiamo esaminato le strategie e i referenti nel primo capitolo. La consistenza dei gruppi cutoliani a Salerno è rilevante: hanno a lungo l'assoluto monopolio dell'attività criminale. Finché, nel novembre del 1983, si aprono al loro interno profonde spaccature, anche per effetto dell'esecuzione di 200 ordini di cattura, spiccati dalla Procura della Repubblica di Salerno. Alle spaccature interne va aggiunto un fattore di crisi ancora più decisivo: la guerra senza quartiere scatenata, a tutti i livelli, dal cartello delle forze della "Nuova Famiglia" contro l'organizzazione cutoliana. Sotto quest'ultimo riguardo, proprio il 1983 segna uno spartiacque cruciale, con la definitiva sconfitta della NC0 per opera della "Nuova Famiglia". Fedeli a Cutolo restano solo piccoli e sparuti gruppi che sono letteralmente sterminati in una progressione micidiale. Nel salernitano si registrano le aree di resistenza cutoliana più consistenti e che a tutt'oggi cercano di difendere margini di azione e di indipendenza.

Il tracollo dell'organizzazione cutoliana, però, non pone termine alla spirale delle "guerre di camorra". Ben presto, il "fronte di guerra" si sposta all'interno del cartello di forze prima alleato in funzione anti-cutoliana. Tutti gli anni '80 sono ciclicamente caratterizzati da devastanti "guerre di camorra". Salerno non fa eccezione a questa tendenza. Vediamo il relativo quadro, estrapolando gli omicidi connessi alle lotte tra i vari raggruppamenti camorristici nel periodo 1980-1987. Riportiamo prima in tabella il numero di omicidi per anno:

Tab. XI

 

1980

1981

1982

1983

1984

1985

1986

1987

Tot.

Numero omicidi

10

13

45

31

3

1

11

15

129

Nostra elaborazione: Fonte D. Santacroce, I miei giorni della camorra, Salerno, 1988, pp. 71-75.

Analizzando il dato secondo la località in cui avviene l' omicidio, abbiamo il seguente prospetto:

 

Tab. XII

 

1980

1981

1982

1983

1984

1985

1986

1987

Tot.

Salerno

2

3

8

1

-

1

-

1

16

Pagani

5

1

7

5

-

-

3

1

22

S.Marzano

2

-

1

-

-

-

-

-

3

Nocera I.

1

2

2

7

3

-

1

2

18

Fisciano

-

1

1

1

-

-

-

-

3

Capaccio

-

2

-

-

-

-

2

2

6

Giffoni

-

1

-

-

-

-

-

-

1

Battipaglia

-

1

1

1

-

-

-

1

4

Cava dei Tirreni

-

1

2

3

-

-

1

3

10

Scafati

1

7

1

-

-

-

-

-

9

Sarno

-

6

1

-

-

-

-

-

7

Montecorv.

Rovella

 

 

4

1

-

-

-

-

-

5

Angri

-

-

2

2

-

-

-

-

4

Nocera S.

-

-

1

1

-

-

-

-

2

Tramonti

-

-

2

-

-

-

-

-

2

Castel San Giorgio

-

-

1

-

-

-

-

-

1

Baronissi

-

-

-

3

-

-

-

1

4

Pontecagn.

 

-

-

1

-

-

-

-

1

S. Egidio

-

-

-

2

-

-

-

-

2

Corleto

-

-

-

-

1

-

-

-

1

Eboli

-

-

-

-

-

-

2

-

2

Bracigliano

-

-

-

1

-

-

-

-

1

TOTALI

10

13

45

31

3

1

11

15

129

Nostra elaborazione: Fonte D. Santacroce, op.cit., pp. 71-77.

Pagani, Salerno, Nocera Inferiore, Cava dei Tirreni, Scafati, Sarno e Angri sono i centri in cui si registra il maggior numero di omicidi. Ciò è indicativo di due fattori. Essi: (i) rappresentano l'epicentro dello scontro di potere all'interno dei raggruppamenti camorristici; (ii) delimitano il centro decisionista dell'attività criminale. Ovviamente, i due fattori sono tra di loro intimamente correlati. Regolarizzare le gerarchie, i rapporti di egemonia e le corrispettive relazioni di potere all'interno del territorio che funge quale centro decisionale è la precondizione indispensabile per il riassetto delle logiche criminali e l'affermazione della nuova leadership. Le "guerre di camorra" si succedono a ritmo intenso e sconvolgente proprio perchè, nel giro di pochi anni, si hanno tre grandi sconvolgimenti nella geografia delle egemonie e delle gerarchie criminali. In primo luogo, il violento e sanguinoso passaggio alla formazione e allo sviluppo della NCO; in secondo luogo, il violento e sanguinoso assalto alla supremazia della NCO, conclusosi col ristabilimento dell'autorità delle "Famiglie" e con la frantumazione del vecchio schieramento cutoliano; in terzo, come in un processo a catena, i conseguenti e nuovi livelli di contrapposizione e competizione violenta tuttora operanti, anche se in maniera meno cruenta.

Il dispositivo criminale camorristico si autoregola anche attraverso la pianificazione dello scontro violento tra i raggruppamenti rivali, riadeguando continuamente la titolarità del controllo del territorio alla centralità assunta dai soggetti del potere criminale, siano essi figure di antica formazione che figure emergenti. La spirale camorristica come spirale della violenza (interna ed esterna) risponde alla necessità della continua rifondazione delle gerarchie criminali. La violenza e l'eliminazione fisica dei rivali divengono il naturale processo di selezione della leadership criminale, affinché la scalata al potere sia garantita ai raggruppamenti effettivamente più forti. Questo è uno dei presupposti ottimali, per porre la razionalità del dispositivo camorristico nelle condizioni di perseguire le sue più alte soglie di rendimento.

Se nelle relazioni economiche il mercato è stato assunto come la "mano invisibile" della razionalità dello sviluppo, nelle relazioni infra ed extra-criminali la violenza e l'omicidio possono essere assunti come la mano visibile del perseguimento selettivo di più alti standards di rendimento. La violenza e l'omicidio restano, come nelle economie rurali-contadine, mezzi di risoluzione delle controversie; ma, ora, le controversie che essi avviano a soluzione non sono più quelle di carattere individuale, bensì quelle aventi una qualificazione gruppuscolare. Ogni raggruppamento camorristico si organizza, si sdoppia e si proietta socialmente come:

a)

gruppo di interesse:

 

 

(i)

dislocato attorno ad una attività mista illegale/"legale";

 

(ii)

saldamente insediato in un territorio circoscritto, usato come base strategica e, nello stesso tempo, come piattaforma per successive espansioni territoriali;

 

(iii)

che seleziona le sue gerarchie interne in ragione e in funzione della loro collocazione sociale e della loro capacità estorsiva/estrattiva del surplus criminale;

b)

gruppo di pressione:

 

 

(i)

proiettato contro le istituzioni e la società civile, a cui intende imporre le proprie regole e i propri interessi;

 

(ii)

ricercante scambi, interazioni e convergenze con apparati politico-istituzionali corrotti o corruttibili;

 

(iii)

che taglieggia tutti gli altri gruppi di pressione organizzati, per ridurne il potere e, così, rimpiazzarli nel sistema delle egemonie sociali.

Come è agevolmente intuibile, il dopo-terremoto, con la valanga dei trasferimenti finanziari collegati, costituisce un terreno che, per gli interessi e le pressioni dei raggruppamenti camorristici, esercita una forte attrazione, localizzata soprattutto nelle aree del cratere. Non appare casuale che siano il 1982 e il 1983 gli anni segnati dalla massima escalation della violenza omicida interna ai raggruppamenti camorrisitici. È, questo, il periodo in cui, tra l'altro, più si scatenano la concorrenza e la competizione interne per: (i) allungare le mani sui fondi pubblici della ricostruzione; (ii) costruire un articolato sistema di taglieggiamento delle imprese che attorno alla ricostruzione lavorano. Nel febbraio del 1983, tanto per fare un esempio sintomatico, la Procura di Salerno pone sotto accusa una "holding camorristica" per episodi di "corruzione di pubblici amministratori" relativi alla concessione di appalti per l'opera di ricostruzione e in collegamento a una serie di numerosi atti estorsivi.

Tenendo conto delle biografie dei soggetti camorristici e dei processi sociali verificatisi nel sistema policentrico salernitano, si possono tratteggiare la base sociale dell'area di potere e il quadro di legittimazione della spirale camorristica negli ani ‘80.

L'area di potere si incardina sulla ridefinizione del controllo e della gestione diretta delle determinanti produttive, sia quelle più tradizionali che quelle di più recente acguisizione:

a) contrabbando di sigarette;

b) usura;

c) bische e gioco d'azzardo;

d) trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli;

e) fondi agrari;

f) edilizia e costruzioni;

g) trasporti;

h) imprese di movimentazione terra;

i)

intermediazione nei trasferimenti di beni e nella produzione di servizi;

l) appalti pubblici;

m) mercato della droga;

n) rackets differenziati e capillari.

Il quadro di legittimazione non si risolve per intero nell'area di potere, per quanto su essa impianti molte delle sue funzioni. Esso attiene prevalentemente alla giustificazione culturale e simbolica della camorra, di cui propone un'immagine vincente, un "potere sociale" in espansione e un tessuto relazionale solidaristico, a dispetto delle guerre intestine che ne falcidiano le fila. Di contro, il quadro di legittimazione prospetta e mette in risalto le crepe del legame sociale, la lontananza delle istituzioni, la crisi disperata dei referenti etico-valoriali ufficiali, la bassa qualità (se non l'assoluta deficienza) delle prestazioni e dei servizi pubblici erogati dalla macchina statuale periferica. Attraverso queste cerchie simboliche, il ceto camorristico cerca di proporsi e di legittimarsi come ceto medio violento, in relativa e crescente condizione di agiatezza economica, privilegio sociale e immunità giuridico-politica. La sua non è semplicemente una proposta di status e di mobilità sociale verticale, bensì un "progetto di società"; meglio ancora: una proposta coerente e territorialmente dispiegata di uso violento della società affluente, a lato sia dei suoi punti di massimo sviluppo che dei suoi nodi critici maggiori. La spirale camorristica fa un impiego sapiente e spregiudicato sia degli elementi di sviluppo che degli elementi di crisi della società e dello Stato del benessere. Ciò le consente di adeguarsi costantemente alle mutevoli realtà storiche e politiche e, nel contempo, di piegarle ai suoi propri interessi e alle sue proprie logiche di dominio.

Il quadro di legittimazione della camorra funge, pertanto, quale:

a) riduzione della società ai moduli e agli interessi criminali;

b)

integrazione dell'autorità criminale nella società in crisi di valori e di risorse;

c)

dilatazione e capillarizzazione sociale dei modelli culturali e delle codificazioni simboliche sottostanti alle prassi criminali.

Il way of life della camorra, direttamente/indirettamente ingenerato dai modelli e dalle occasioni offerte dalla società dello sviluppo, immette dentro il tessuto sociale, come feedback retroattivo, i codici antropologici e simbolici delle culture criminali primigenie. Assistiamo, così, a un assorbimento spurio nelle culture criminali dei valori della "società dello spettacolo" e dell'egocentrismo affaristico; per contro, registriamo il ritorno, non meno spurio, delle culture criminali nelle pieghe della convivenza sociale. I processi di identificazione che segnano lo sviluppo della spirale camorristica sono il singolare punto di incastro e di miscelazione delle (i) culture egotiche e desolidarizzanti della società affluente con le (ii) culture della violenza della società criminale. Al cinismo che tragicamente marchia la società del benessere fa eco il cinismo della professione camorristica, la quale trova nuove e insperate "opportunità di lavoro" nella crisi di eticità e solidarietà, nel degrado urbano e nella disgregazione della società civile.

Nella fase a cavallo degli anni ‘80 e ‘90, la spirale camorristica nel salernitano vede:

a)

una lotta asperrima tra i raggruppamenti più forti della "Nuova Famiglia";

b)

la continuazione della "campagna di progressivo annientamento" delle sopravvivenze cutoliane.

Il teatro belligerante ha, ancora una volta, nell'Agro nocerino-sarnese e nella Piana del Sele i suoi fuochi principali.

Al 1993, i gruppi camorristici censiti ammontano a 12. Le attività dove vanno consolidando la loro presenza sono nell’ordine: (i) l’edilizia; (ii) l’esercizio di società finanziarie, ad alto tasso di impermeabilità investigativa; (iii) iniziative immobiliari sulla costiera amalfitana; (iv) monopolio del ritiro dei rifiuti speciali; (v) gestione di catene commerciali specializzate nella vendita di beni di consuno voluttuari; (vi) macellazione e distribuzione delle carni; (vii) truffe alla Cee nel settore conserviero; (viii) gestione della grande ristorazione; (ix) industria turistica (S. Maria di Castellabate, Palinuro).

Uno dei dati nuovi di questo scorcio di tempo è la proiezione della presenza camorristica dall’agronocerino-sarnese e dalla valle del Sele verso le direttrici di comunicazione territoriali con la Calabria, attraverso la penetrazione in comuni importanti del vallo di Diano e del Cilento.

L’interconflittualità camorristica è andata acutizzandosi, a fronte del tentativo di controllo delle attività illegali/legali dell’agro-nocerino-sarnese operato dal gruppo Alfieri/Galasso; tentativo che continua anche dopo l’arresto del Galasso e del leader Alfieri, diventati i principali "collaboratori di giustizia" nella frastagliata area dei "pentiti di camorra".

Il clan Alfieri disegna nel salernitano un nuovo sistema di alleanze violente:

a) ad Eboli e nella valle del Sele: con il gruppo Maiale;

b) nella zona di Battipaglia-Bellizzi: con il gruppo Pecoraro;

 

c) a Nocera Inferiore, Nocera Superiore e Pagani: con Mario Pepe (che successivamente collabora con la giustizia), con Giuseppe Olivieri (ucciso nell’ospedale di Cava dei Tirreni, il 25/6/1990), con Gennaro Citarella (ucciso il 16/11/1990), con Antonio Sale (ucciso il 30/9/1990);

d) nella zona di Angri: con il gruppo di Tommaso Nocera;

e) nella zona di Scafati: con il gruppo di Pasquale Galasso.

Le articolazioni di questo network si distendono non solo verso i mercati legali, ma anche verso il sistema politico-istituzionale periferico.

In ogni singola area, i vari gruppi camorrisitici locali intrattengono relazioni di compenetrazione con settori dell’amministrazione pubblica e del mondo creditizio. Compartecipi, a vario titolo, al network camorrista risultano:

a) l’ex sindaco di Nocera Inferiore ed ex presidente dell’Usl 50;

b) un assessore del comune di Sarno;

c) il direttore della sede di Nocera Inf. del Banco di Napoli;

d) il direttore della sede di Nocera Sup. del Credito Commerciale;

e) il vicedirettore della sede di Nocera Inf. del Banco di Napoli.

Va, infine, registrato:

a) lo scioglimento, attraverso decreti prefettizi, dei consigli comunali di Nocera Inferiore e Scafati, per condizionamento camorristico;

b) l’arresto di cinque consiglieri comunali, in tutto il territorio provinciale, per delitti contro la pubblica amministrazione.

Esaurita la ricognizione sui dispositivi della spirale camorristica, possiamo passare all’analisi degli "spazi" entro cui va maturando la sua efflorescenza.

4.

Il territorio criminale

Se, in linea di massima, assumiamo che "l'uomo è un animale territoriale e la territorialità influisce sul comportamento umano a tutti i livelli dell'attività umana", la questione tipica del "controllo del territorio" da parte delle grandi organizzazioni criminali si prospetta in un contesto assai più complesso di quanto, per solito, si è disposti a riconoscere. Se, poi, poniamo mente all'altra ben evidente circostanza che, sin dalle origini, la figura della città è un "elemento della figura del territorio", le cose si complicano ulteriormente, in quanto siamo obbligati necessariamente ad associare fenomeno città, fenomeno territorio e fenomeno criminalità alle problematiche del paesaggio, dell'ecologia della vita relazionale, della salvaguardia delle culture locali e dell'arricchimento degli ecosistemi ambientali.

Per un approccio più organico ai nodi forti di tali problematiche, rinviamo al capitolo successivo. Qui cercheremo di circoscrivere una definizione elastica del territorio criminale, calata e verificata nello specifico salernitano.

Il territorio, in generale, è:

a)

una combinazione di fattori geo-ambientali preesistenti alla presenza antropica;

b)

il "luogo" per eccellenza in cui si dà l'essere, l'agire e il comunicare degli aggregati umani;

c)

la risultante costruzionistica delle prassi storico-politiche e ambientali delle comunità e dei gruppi organizzati (dal livello macro dello Stato al livello micro dei sistemi e sottosistemi organizzati locali);

d)

un'elaborazione culturale e simbolica da parte degli abitanti e dei cittadini, delle etnie e delle comunità, degli strati sociali e del singolo.

Esso è, dunque, soggetto/oggetto dell'esperienza umana. L'esperienza e la percezione del territorio, pertanto, non si riducono alle modalità della spazialità. Il territorio, pur in un certo senso collocato entro uno spazio, viene prima dello spazio ed è rispetto ad esso cosa diversa. La semantica della spazialità, come è già ben chiaro negli "schemi simbolici" di E. Cassirer, a sua volta, disegna una costellazione di differenze tra "spazio sociale" e "spazio fisico"; tra "spazio organico", "spazio percettivo" e "spazio simbolico".

Come ben avverte A. Barbieri: "...il territorio può avere senso, in quanto si riconosca nella soggettività la frontiera dello spazio e nello spazio la frontiera della soggettività...La relazione tra soggetti è dunque la condizione delle esperienze territoriali...". Ma la relazione tra soggetti si intercala in una relazione tra oggetti che, in parte, si trovano già belli e pronti e, per il resto, sono soggettivamente elaborati in maniera originale; oppure vengono soggettivamente "lavorati", ricombinati e rifinalizzati secondo nuovi ordini di priorità e nuove gerarchie di senso. La soggettività come frontiera dello spazio e lo spazio come frontiera della soggettività, allora, non costituiscono il reticolo stretto della dinamica, della storia e della geografia del territorio. Ancora di più: non riescono a dare interamente ragione nemmeno delle loro proprie dinamiche e dei loro assetti geo-storici; tantomeno del flusso interattivo che, di continuo, passa proprio tra spazio e soggettività.

Il fatto è che:

a)

l'esperienza soggettiva e intersoggettiva non esaurisce l'esperienza del territorio e nemmeno dello spazio;

b)

il campo dell'esperienza del territorio e dello spazio non è termine ultimo della soggettività e dell'intersoggettività.

La dialettica complessa soggetto/oggetto che presiede e accompagna, dall'inizio alla fine, queste fenomenologie richiede schemi interpretativi più articolati.

Ciò in ragione di un'ulteriore e parimenti decisiva causale: l'esperienza soggettiva e intersoggettiva del territorio e dello spazio non è dissociabile dall'esperienza del tempo, della sua estensione, della sua successione e delle sue contrazioni e scansioni interne. Così stando le cose, il senso del territorio e della sua esperienza è qualche cosa di più dell'esperienza della frontiera della soggettualità, dell'intersoggettualità e della spazialità.

Un ulteriore ordine di problematiche va chiarito: quello che attiene alla differenza tra confine e frontiera. Il confine è il portato storico-naturale di una identità etnico-territoriale e culturale-politi-ca. Nel senso che designa i limiti territoriali entro cui si affermano, proteggono e affinano i vincoli di stabilità e unità di un popolo, di una nazione, di uno Stato, di una comunità e del singolo medesimo. In linea generale, nella storia che inizia con l'epoca moderna, il confine delimita proprio l'ambito entro il quale si esprime, a tutti i livelli, l'autonoma sovranità di un popolo che: (i) si costituisce in nazione, (ii) articola in comunità, (iii) riconoscendosi nell'impersonale e superiore organizzazione dello Stato, (iv) comunicando attraverso una lingua comune, (v) risultante di radici culturali e progressioni storiche di reciproca appartenenza. In questo senso, il confine è un'entità statica che conosce soltanto movimentazioni e mobilità interne e da questo "interno" si interrelaziona con (e, allo stesso tempo, si salvaguarda dall'"esterno". La frontiera, invece, si discosta in continuazione dalla linea del confine; meglio: è il tentativo del continuo superamento e spostamento del confine. Essa è territorio mobile; non già linea statica. Può essere, in tal senso, anche un territorio nuovo da esplorare e/o da conquistare. Perciò, essa designa sempre la ricerca di una nuova identità non solo territoriale, ma etnico-culturale; a sua volta, creatrice di nuove realtà politico-sociali e mitico-morali. Emblematico, in proposito, il mito della "frontiera americana" nei secoli XVII-XVIII e successivamente della "nuova frontiera" nei secoli XIX-XX. Esperienza del confine e della frontiera rinviano a eventi/simboli differenti e danno luogo a fenomenologie sociali e culturali assai dissimili tra di loro, per quanto assonanti su più punti. Spazio e soggettività non possono costituire il limite oltre il quale l'uno non può spingersi senza l'altra, poiché sono, a loro volta, implicati nelle dinamiche e nelle pulsioni della frontiera, la quale "concilia conservazione con movimento".

Abbiamo visto, seppur stringatamente, le determinanti attraverso cui il territorio e lo spazio scrivono la loro struttura di significati fondamentali. Dobbiamo ora passare alla individuazione di quei sistemi di connotazione senza i quali il territorio criminale non potrebbe esistere.

Lo statuto territoriale delle relazioni criminali ha un doppio carattere:

a)

associativo, rispetto ai soggetti del crimine e alla "società progettuale" di cui sono portatori;

b)

dissociativo, rispetto ai soggetti/oggetti e alle culture/prassi che non rientrano o sono esclusi dai sistemi valoriali e dagli interessi su cui si impianta il crimine.

La razionalità criminale, soprattutto nel caso della spirale camorristica, progetta ed elabora un proprio territorio come società autosufficiente che, nondimeno, sottrae continuamente beni, risorse, ricchezze e potenziale umano ai sistemi sociali organizzati. Per la razionalità strumentale criminale, le esperienze del confine fanno indissolubilmente incrocio con le esperienze della frontiera: il territorio criminale è contemporaneamente confine e frontiera. Confine, perché entro il proprio ambito di influenza non tollera l’intromissione di altre fonti di autorità. Frontiera, perché tende costantemente a sussumere entro la sua orbita nuovi territori relazionali, nuovi spazi geografici, nuovi ambiti di mercato, nuovi campi di autorità e legittimazione. La mobilità interna che caratterizza tutte le linee di confine si accoppia con la movimentazione esterna che contraddistingue tutte le dinamiche di frontiera. Da quest'angolo di osservazione, le "guerre di camorra", la competizione per l'appropriazione violenta dello sviluppo, che abbiamo visto connotare la parabola criminale nel salernitano in questi ultimi venticinque anni, divengono meglio intelliggibili.

Nel salernitano (come altrove), la spirale camorristica va interpretata anche come un processo di socializzazione del territorio criminale. Il dislocamento e lo sviluppo del radicamento camorristico vanno assunti come fluidificazione sociale di raggruppamenti che, attraverso la concorrenza violenta e la selezione omicida, pervengono ad una unità territoriale superiore, nei termini dell'estensione dei linguaggi, dei segni/messaggi, dei codici e dei poteri dell'insediamento della camorra. I soggetti della camorra non solo sono estremamente attaccati al loro territorio e al loro patrimonio socio-linguistico ed etico-comunicativo; attaccano, altresì, il territorio altrui e l'altrui patrimonio socio-linguistico ed etico-comunicativo. I raggruppamenti camorristici sono, perciò, caratterizzati dalla stanzialità e dal nomadismo violento. Tra gli elementi costitutivi dell'accelerazione delle "guerre di camorra" che, dalla fine degli '70, abbiamo visto insanguinare il salernitano rientra proprio l'intreccio, ad alto livello di intensità, tra stanzialità e nomadismo. La stanzialità si converte nella difesa violenta del proprio territorio, al livello di tutti gli spazi fisici, relazionali e simbolici; il nomadismo, nell'annessione violenta del territorio altrui, al livello di tutti gli spazi fisici, relazionali e simbolici. L'esercizio della sovranità territoriale apre un duplice processo:

a)

la centralizzazione dei poteri criminali nelle mani dei raggruppamenti, di volta in volta, più forti;

b)

la centrifugazione dei raggruppamenti perdenti e di quelli più deboli, decapitati della loro leadership e dei loro apparati militari e subalternizzati rigidamente.

Il territorio, per i raggruppamenti camorristici più forti, diviene il nesso privilegiato per la riproduzione allargata del crimine e dei suoi codici simbolico-culturali e, nello stesso tempo, il fine verso cui costantemente tendere. Il territorio criminale tende, così, a costruirsi ed elaborarsi come società parallela ricavata dalla costante erosione della società ufficiale, delle sue regole e delle sue istituzioni. In questo senso, è aggressione al territorio e allo spazio urbano, a tutti i loro livelli di configurazione e articolazione. In quanto società parallela, non ambisce al rovesciamento o alla estinzione della società ufficiale, di cui è il ricalco negativo, per quanto in via di costante autonomizzazione. Ridurre tutta la società a crimine significherebbe, al contrario, estinguere proprio il territorio criminale, il quale rimarrebbe senza il contraltare referenziale da cui ricavare risorse e su cui dimensionare gli attacchi.

Diversamente da quanto potrebbe a tutta prima apparire, il territorio criminale non è (e nemmeno tende al) l'hobbesiana "guerra di tutti contro tutti", in cui ognuno è indiscriminatamente facultizzato e legittimato all'uso della violenza. Lo status criminale si allontana, perciò, dalla concezione hobbesiana dello "stato di natura". È interesse dello stesso crimine organizzato che vi sia e operi una giustizia e che essa sia amministrata, delegittimando il monopolio della violenza esercitato dai privati cittadini. Quanto più ci allontaniamo dallo "stato di natura" hobbesiano e ci avviciniamo a ordini civili "virtuosi", tanto più la criminalità organizzata ha a disposizione un repertorio di chances per realizzare affari, mediante l'uso della violenza. L'incremento della democrazia e una più efficiente ed equa redistribuzione della giustizia e della ricchezza sono altrettanti potenziali a disposizione della criminalità, per allargare la propria spirale. Quanto meno i potenziali della democrazia e della giustizia distributiva sono attivati dalle istituzioni e dalla società civile, tanto più vengono impiegati dalla società criminale. Non intervenendo sui "fattori perversi" della democratizzazione e dell'eguaglianza, si lascia che su essi prosperi la società criminale, pervenendo a perversioni e degradazioni di scala della vita democratica e della convivenza civile.

In generale, nelle società avanzate si è intervenuto sugli "effetti perversi" e sui "paradossi" della democrazia, sui contesti della democratizzazione decrescente, ponendo mano a politiche di controllo sociale e di sanzionamento penale più repressive. Mentre, invece, è possibile venire a capo delle strozzature della vita democratica e delle sue controfinalità unicamente lavorando a un allargamento degli ambiti di espressione della democrazia, dell'esercizio dei diritti e della tutela delle libertà. Soltanto un processo di tal fatta può delegittimare la criminalità organizzata, aggredendo i canali di formazione e le condotte simboliche del territorio criminale. Sino a che la società civile rimarrà atrofizzata; sino a che i circuiti della cittadinanza politica continueranno ad essere emarginanti; sino a quando i canali della rappresentanza politica saranno prevalentemente incardinati sui sistemi clientelari, gli "effetti perversi" e i "paradossi" della democrazia seguiteranno ad essere il supporto involontario, ma forte, dello sviluppo del fenomeno criminale. L'inasprimento della repressione penale e il restringimento delle maglie delle garanzie continueranno ad essere mezzi non conformi allo scopo. Il caso salernitano è una delle tante possibili conferme di questa drammatica verità.

All'interno del territorio criminale, la spirale camorristica funge quale referente centrale, quale agente moltiplicatore e fattore di innalzamento dei livelli di violenza criminale. I livelli medi e bassi tendono costantemente a uniformarsi ai livelli alti, in un processo a catena senza fine, anche laddove non sono soggetti al controllo diretto/indiretto dei raggruppamenti camorristici. La violenza camorristica determina e propone dei comportamenti che, di fatto, vengono assunti come modelli di riferimento che si territorializzano nelle strutture mentali e negli spazi relazionali. Si aprono processi di apprendimento e di mimesi su vasta scala, i quali vanno ben al di là dell'effettiva presenza territoriale camorristica. Le conseguenze più evidenti si avvertono nel generale incrudelirsi e inferocirsi anche delle forme di microcriminalità diffusa e, ancora di più, nella devalorizzazione estrema della vita umana che fa uccidere o per "futili motivi" (i cosiddetti "omicidi anomici") o per "bottini" irrisori.

La generalizzazione degli stili di vita e delle strutture mentali che solcano in profondità l'organizzazione sociale camorristica fa tragicamente intersezione con i processi di anomia e di caduta dei vincoli etico-solidaristici che marchiano in negativo la vita sociale e la convivenza civile delle società avanzate. Dipartono da qui pulsioni di morte che si incanalano verso due situazioni limite, tra di loro in rapporto di simmetria e di complementarità: il suicidio e l'omicidio. E sono i soggetti più deboli (donne, donne anziane e giovani) quelli sulle cui spalle maggiormente grava l'incrudelirsi della spirale criminale.

Il complesso di queste fenomenologie patologiche costituisce, per molti versi, il contrassegno delle condizioni metropolitane dello sviluppo e del vivere personale e sociale; condizioni che si riproducono a scala diffusionale anche nei territori e nelle reti relazionali distanti dai centri e dagli stessi margini dello sviluppo. Quanto più impattano su un habitat etico-sociale degradato, tanto più ne accelerano la degradazione etico-sociale. In queste condizioni, il suicidio non appare più semplicemente, come ancora nelle sintomatologie e causali storico-personali indagate da Durkheim, il male dell'infinito, sospeso e irrisolto tra l'infinito del desiderio e l'infinito del sogno; bensì è rivelatore di nuovi "tipi psicologici", i quali convertono le spinte all'autodistruzione nella sindrome del successo. Il soggetto criminale quanto più afferma la personalità camorristica, per esempio, tanto più realizza il suicidio dell'identità personale. Le fenomenologie del suicidio sono ora misurate più dai casi di successo simbolico che dalle situazioni di scacco. Questo processo di perversione è connaturato all'aumento della capacità simbolica dell'attore sociale nelle società avanzate, indagato da A. Hirschman; e che induce nel soggetto un bilico interiore ed esteriore permanentemente gettato tra la rincorsa verso una nuova illusione e il contraccolpo di una nuova delusione. In un certo senso, conferma la diagnosi freudiana sull'uso dissipativo e autodistruttivo della cultura.

Ora, però, non è dato che l'incremento della capacità simbolica funga necessariamente da sfera di latenza per fenomeni di disgregazione della personalità e degradazione dei quadri della relazionalità interpersonale e, più generalmente, della convivenza sociale. Su di esso, al contrario, è possibile far attecchire più ricchi processi di costruzione e crescita sia della personalità che della convivenza sociale e della comunicazione umana. Si tratta di intervenire su una situazione conflittuale, i cui esiti non sono predeterminati e predicibili. Le previsioni in un senso oppure nell'altro debbono basarsi su processi di costruzione che vadano in un senso piuttosto che nell'altro e che sappiano verificarsi e rettificarsi a contatto con la realtà e nel corso del cammino.

È altrettanto vero che tra anomia e solidarietà non si istituisce un nesso dicotomico, ma un campo di tensione che ammette più di una possibilità di sviluppo, non necessariamente sfociante nell'autodistruzione e nell'aggressività indotta. I soggetti anomici sono anche portatori di una sfida simbolica che intende rompere le cerchie del tacitamento e della subalternità, per acquisire voce e visibilità, all'interno di un più problematico e aperto processo di costruzione della personalità e dell'identità. La catastrofe del suicidio e della disgregazione non è, pertanto, l'approdo necessario dell'anomia; in quest'ultima si agitano le tensioni positive, a volte disperanti, per la dislocazione di un nuovo e più libero terreno di azione e comunicazione sociale e interpersonale. Allora, si può spingere la "teoria dell'anomia" a cogliere "gli elementi imprevisti, le trasformazioni improvvise, le crisi latenti", inquadrando l'anomia stessa come "capacità simbolica di sfondamento dei confini dati".

Siamo venuti approssimando temi cardine del dibattito sociologico di questi ultimi venticinque-trent'anni. Se il problema è quello dell'eccesso di capacità simboliche dell'attore sociale, una delle risposte individuate è quella della risposta sotto forma di controllo dell'angoscia, per il tramite di un collegamento inesausto tra le strutture istituzionali e il vissuto concreto. Venendo meno questo raccordo nevralgico, l'angoscia deflagra e si tinge di violenza esplosiva/implosiva, ad alti tassi di concentrazione e diffusione territoriali.

La conflittualità omicida, per effetto dei processi di apprendimento e di mimesi, di implosione e di esplosione che si irradiano dalla spirale dei fenomeni appena descritti, viene investita da rilevanti modifiche strutturali. Se, come osserva Durkheim, il reato è un rituale sociale, niente meglio dell'omicidio complessifica e spinge allo zenit questo rituale e, nel contempo, lo mostra nelle sue significazioni e motivazioni profonde. La Campania, da questa postazione di analisi, costituisce un "osservatorio centrale".

Per la rilevazione analitica del fenomeno a scala regionale, dobbiamo ad A. Barbieri un interessante schema di classificazione della conflittualità omicida:

a) conflitto di tipo camorristico;

b) conflitto di tipo familiare;

c) conflitto di tipo economico o d'interesse;

d) conflitto anomico;

e) conflitto di faida/vendetta;

f) conflitto per motivi di onore;

g) conflitto "altro".

Vediamo, ora, la progressione degli omicidi in Campania nella serie temporale che va dall'1/1/1970 al 30/6/1982:

Tab. XIII

Anno

Valore assoluto

Percentuale

1970

62

2,1

1971

57

3,7

1972

89

5,8

1973

75

4,9

1974

78

5,1

1975

87

5,7

1976

90

5,9

1977

86

5,6

1978

98

6,4

1979

135

8,8

1980

187

12,2

1981

299

19,6

1982

184

12,0

TOTALE

1527

 

Fonte: A. Barbieri, Mezzogiorno, Criminalità, Giovani, Omicidi, Napoli, Liguori, 1991, p. 45.

Come si vede, il trend subisce un'impennata sul finire degli anni '70, cominciando a toccare livelli di esplosione col 1980, a conferma ulteriore delle tendenze attivate dalle "guerre di camorra" e dell'effetto trascinatore da esse avuto nella territorializzazione della conflittualità omicida.

Contestualizziamo la progressione omicida, assumendo il dato provincia per provincia:

Tab. XIV

Anno

Regione

Avellino

Benevento

Caserta

Napoli

Salerno

1970

62

6

2

8

37

9

1971

57

4

2

9

34

8

1972

89

14

2

7

56

10

1973

75

10

1

10

43

11

1974

78

5

4

13

45

11

1975

87

9

4

10

49

15

1976

90

3

3

18

54

12

1977

86

4

3

12

49

18

1978

98

3

3

16

63

13

1979

135

14

5

18

80

18

1980

187

10

1

12

136

28

1981

299

8

2

34

235

20

1982

184

1

2

17

140

24

Totale

1527

91

34

184

1021

197

Fonte: A. Barbieri, op.cit., pp. 49-59.

Come si vede, Salerno è città seconda solo a Napoli e distanzia di poco Caserta. Ma riportiamo in schema i valori terminali della progressione, misurandoli percentualmente:

Tab. XV

 

Valore assoluto

Percentuale

Avellino

91

6,0

Benevento

34

2,2

Caserta

184

12,0

Napoli

1021

66,9

Salerno

197

12,9

Campania

1527

100,0

Fonte: A. Barbieri, op. cit., p. 62.

Tenendo conto del sesso delle vittime, otteniamo il seguente quadro:

 

Tab. XVI

 

MASCHI

FEMMINE

 

V.A.

%

V.A

%

Avellino

61

67,0

30

33,0

Benevento

21

61,8

13

38,2

Caserta

150

81,5

34

18,5

Napoli

877

85,9

144

14,1

Salerno

155

78,7

42

21,3

Campania

1264

82,8

172

17,2

Fonte: A. Barbieri, op. cit., p. 62.

Se accettiamo la classificazione dell'hinterland fornita da Barbieri, abbiamo le seguenti subaree-tipo:

a)

Subarea aversano-casertana: con 59 comuni, di cui 29 in provincia di Napoli e 30 in provincia di Caserta;

b)

Subarea nocerino-sarnese: con 20 comuni, di cui 5 in provincia di Napoli e 15 in provincia di Salerno;

c)

Subarea nolana: con 10 comuni, di cui 8 in provincia di Napoli e 2in provincia di Avellino;

d)

Subarea vesuviana: con 20 comuni, tutti in provincia di Napoli.

Su queste basi, abbiamo la seguente distribuzione percentuale degli omicidi per aree-tipo e per situazione di conflitto:

Tab. XVII

Situazione di conflitto

Hinterland

%

Zone interne

%

Napoli città

%

Camorristici

65,8

11,8

22,4

Familiari

32,7

48,3

19,0

Interesse

38,8

30,4

30,8

Altro

45,3

27,1

27,6

Anomico

35,4

33,0

31,6

Faida/Vendetta

54,5

16,7

28,8

Onore

38,5

25,6

35,9

Fonte: A. Barbieri, op. cit., p. 73.

Come si vede, la conflittualità omicida camorristica tocca i suoi picchi nelle subaree dell'hinterland, in cui è compreso l'Agro nocerino sarnese. Il che conferma che, nella transizione tra gli anni '70 e '80, questo tipo di area effettivamente è stato l'epicentro decisionale e il teatro fondamentale delle "guerre di camorra". Ma il dato che impressiona più di tutti è l'elevata percentuale di omicidi anomici, secondo un trend pressoché uniforme in tutte le aree territoriali sottoposte a campionatura: 35,4% nell'hinterland; 33% nelle zone interne; 31,6% a Napoli città. La circostanza dimostra quanto si siano ancorati in profondità i fenomeni complessi di connotazione del territorio criminale che abbiamo innanzi lumeggiato.

Concentriamoci ora sulla situazione salernitana, di cui cercheremo di "fotografare" l'evoluzione allo scorcio degli ultimi anni '80.

Esaminiamo la parabola dei delitti e delle persone denunciate nel 1987, facendo una comparazione tra il dato salernitano e quello regionale.

 

Tab. XVIII

 

S A L E R N O

C A M P A N I A

 

 

N.ro delitti

Autori Ignoti

Persone denunc.

N.ro

delitti

Autori Ignoti

Persone Denunc.

OMICIDI DOLOSI

CONSUMATI:

29

23

11

162

136

196

Furto e Rapina

1

1

-

13

6

10

Motivi di camorra

17

16

4

56

79

135

Motivi di onore

1

1

-

13

2

12

Altri

10

5

7

80

49

39

INFANTICIDI:

-

-

-

2

-

3

OMICIDI

PRETERINTENZIONALI

2

-

2

6

-

7

TENTATI OMICIDI

43

12

49

238

71

255

OMICIDI COLPOSI:

38

4

36

182

21

176

di cui da inciden. stradali

30

4

26

146

15

138

LESIONI DOLOSE

404

60

423

1860

249

1970

VIOLENZE CARNALI

14

1

16

89

8

158

contro minori di anni 14

5

-

7

27

5

26

contro maggiori di anni 14

9

1

9

62

3

132

FURTI SEMPLICI

E AGGRAVATI

11972

11047

1313

99715

95231

6054

abigeato

56

44

24

155

131

41

borseggio

574

543

34

4030

3866

187

scippo

453

420

35

7366

7022

427

in uffici pubblici

114

102

23

669

626

65

in negozi

377

304

120

3494

3097

568

in appartamenti

1785

1630

223

10185

9461

1016

su auto in sosta

2804

2552

341

20728

19838

1146

in ferrovia

264

249

17

1239

1129

123

opere d’arte e mater. arch.

8

7

2

48

39

12

di merci su autoveic. pes.

12

11

3

147

125

29

di autoveicoli

3981

3879

148

43234

42434

1040

altri furti

1544

1306

343

8420

7463

1400

Tab. XVIII (segue)

 

S A L E R N O

C A M P A N I A

 

N.ro delitti

Autori Ignoti

Persone denunc.

N.ro

delitti

Autori Ignoti

Persone Denunc.

RAPINE *:

304

234

104

9239

8437

1399

in banche

4

4

-

28

24

12

in uffici postali

6

4

2

59

54

10

in gioielleria e lab. prez.

12

9

6

47

35

33

a rappresentanti di preziosi

-

-

-

12

11

3

a traort. di valori bancari

-

-

-

12

11

1

a trasport. di valori postali

3

3

-

11

11

-

a coppie e prostitute

32

20

16

670

605

112

ad abitazioni, negozi, ecc.

234

183

76

8212

7535

1157

ESTORSIONI

136

79

108

461

253

385

SEQUESTRI di PERSONA

10

6

4

70

31

98

a scopo estorsivo

1

-

1

6

3

4

con ostaggio, scopo rapina

3

3

-

27

11

25

con ostaggio, per sola fuga

-

-

-

1

-

1

motivi sessuali

2

-

2

11

1

14

altri

4

3

1

25

16

54

ASSOC.NE DELINQUERE

56

7

157

310

21

1357

ASSOC.NE MAFIOSA

2

-

12

34

3

475

INCENDI DOLOSI

89

75

20

293

236

81

ATTENTATI DINAMIT.DI e/o INCENDIARI

18

12

8

181

106

95

TRUFFE

1024

293

943

3930

1057

2893

CONTRABBANDO

80

-

84

2796

33

2838

STUPEFACENTI (prod./comm.)

233

15

340

1086

63

2199

SFRUT.TO/FAV.TO PROSTITUZIONE

23

3

20

70

9

102

ALTRI DELITTI

12306

3945

10582

59434

23684

44907

TOTALI

26783

15816

14242

77904

33933

56829

* Dalla voce "Rapine" sono state escluse quelle a danno di Automezzi pesanti trasportanti merci, sia con targa italiana che con targa straniera; nel computo generale, però, i valori ad esse relativi vengono conteggiati.

Fonte: ISTAT

Stringiamo ancora meglio l'indagine, riportando la progressione dei procedimenti penali nel salernitano nella serie 1/7/1983-30/6/ 1990:

Tab. XIX

 

 

 

1/7/83

30/6/84

1/7/84

30/6/85

1/7/85

30/6/86

1/7/86

30/6/87

1/7/87

30/6/88

1/7/88

23/10/89

24/10/89

30/6/90

Delitti

31.616

35.951

42.641

52.505

50.552

81.385

65.623

Contra.ni

15.715

16.545

14.660

16.309

15.541

28.880

47.082

TOTALE

47.331

52.496

57.301

68.814

66.093

110.225

112.705

Fonte: Discorso inaugurale del Proc. Mario Ranieri per l'apertura degli anni giudiziari 1989 e 1991 nel Distretto della Corte di Appello di Salerno.

Volendo ottenere le medie e le differenze relative, abbiamo la seguente situazione:

Tab. XX

 

 

Media

1984/88

Diff. ‘88

risp. media

Diff. ‘88

risp. ‘87

Media 1986/88

Diff. ‘90 risp. 1989

Diff. ‘90 risp. 1989

Delitti

42.653

+ 7.899

- 1.953

58.461

+ 7.162

- 15.722

Contrav.ni

15.754

- 213

- 760

24.494

+ 22.588

+ 18.202

TOTALE

58.407

+ 7.686

- 2.721

82.955

+ 29.750

+ 2.480

Fonte: Discorso inaugurale..., cit.

Rilevando la dinamica della conflittualità omicida, si ottiene il seguente prospetto.

Tab. XXI

 

 

1983-84

1984-85

1985-86

1986-87

1987-88

1988-89

1989-90

Omicidi Volontari

32

20

14

44

30

30

24

Omicidi tentati

54

54

30

48

38

26

10

Fonte: Discorso inaugurale..., cit.

Se, invece, vogliamo sezionare la mappa dei delitti più gravi, abbiamo il seguente quadro:

 

Tab. XXII

 

 

1983

1984

1984

1985

1985

1986

1986

1987

1987

1988

1988

1989

1989

1990

Omicidi volont.

32

20

14

44

31

31

24

Omicidi tentati

53

53

30

48

38

30

11

Omicidi colposi per inci.ti stra.li

152

135

141

134

130

181

53

Omicidi colposi per altri eventi

11

6

11

19

31

16

23

Sequestri perso- na per estorsio.

-

-

-

-

2

2

-

Lesioni person. volontarie

1271

1300

1314

1458

1038

1744

161

Lesioni person. colpose inc. str.

3605

3427

3692

3658

4255

5549

2109

Lesioni person. colpose altre

1546

1600

1599

1671

1574

1669

258

Estorsioni

99

48

68

51

50

44

57

Rapine

723

507

530

471

507

627

245

Furti:

25931

21402

16622

18514

20648

21123

16844

autori noti

1784

1656

553

797

847

1642

950

autori ignoti

24147

19746

16069

18017

19801

19481

15894

Bancarotte frau.

94

90

91

58

73

43

22

Fonte: Discorso inaugurale..., cit.

Ci pare che la successione delle tabelle ben renda l'idea della fenomenologia socio-criminale che percorre il territorio salernitano e che nelle pagine precedenti abbiamo illustrato nelle causali e negli effetti.