CAP. III

LA DECISIONE ARMATA.

IL RUOLO POLITICO DELLE BR NEGLI ANNI ‘70

 

  

Premessa

Negli anni Settanta, soprattutto nella seconda metà, le Br sono state uno degli attori protagonisti della scena politica italiana. Ciò per due fondamentali ordini di fattori: (i) perché la situazione di blocco caratterizzante il sistema politico italiano1 ha oltre misura dilatato gli effetti dell'azione combattente delle Br; (ii) perché la prassi delle Br, pur facendo aggio su quel blocco, è stata una delle variabili più rigide del sistema politico italiano.

Cercheremo di ispezionare questo dato lungo tre deter-minanti storico-analitiche: (i) la teoria politica delle Br; (ii) l'azione politica delle Br; (iii) l'insieme delle connessioni e delle disarticolazioni stabilitosi tra azione delle Br e sistema politico.

Nella filosofia politica italiana, il tema del blocco politico è divenuto rilevante a far data dalle celebri analisi di G. Galli2. Non potevano, perciò, mancare le investigazioni politologiche che hanno ricondotto la causalità della lotta armata al blocco del sistema politico. Una approfondita disamina critica di queste posizioni l'ha condotta G. Pasquino3. Il piano argomentativo di Pasquino è sufficientemente condivisibile, laddove individua che l'ideologia e la cultura delle Br rísultano essere completamente eccentriche rispetto alla discussione e alla situazione intorno al sistema politico bloccato. Esse, difatti, fanno interamente perno sulla presunta "maturità" della transizione al comunismo, grazie alla contestazione arrmata del sistema democratico-borghese. Il ragionamento di Pasquino appare meno convincente, allorché argomenta di mancanza di effetti da parte del "blocco di sistema" sulla formazione della lotta armata, deducendolo logicamente dalle analisi e strategie delle Br. Che la riflessione teorico-ideologica delle Br sia totalmente inconsapevole del processo che conduce al blocco del sistema politico italiano, evidentemente, non può impedire che quel blocco eserciti la sua azione con-dizionante all'intemo del campo di fenomeni e di opzioni che disseminano gli elementi incubativi della scelta armata.

Non che tra sistema bloccato e lotta armata sussista un rapporto lineare di causa/effetto; ma nemmeno pare lecito concludere che, essendo per le Br il sistema politico aperto all'opera di rivolgimento rivoluzionario, il "blocco di sistema" non abbia esercitato funzione alcuna nell'insediamento della lotta armata. Altro è la rappresentazione del reale che elaborano le Br e altro è la realtà. La sproporzione tra i due livelli appare ancora più pronunciata, ove si pensi che l'ideologia (brigatista) interdice alle Br una effettiva dimensione di auto-analisi, a partire dalla quale i limiti interni delle motivazioni e delle prospettive, lo scarto tra il piano della storicità e quello dell'interpretazione siano individuati e rielaborati.

Il fatto è che, sul piano immediatamente empirico, hanno operato tanto il "blocco" che "l'apertura" del sistema. La chiusura sclerotica dei processi politici incubati dalla Costituzione repubblicana andava procedendo contestualmente alla messa in opera di una dinamica storica di processo che chiaramente poneva all'ordine del giorno un orizzonte diverso, politicamente possibile: la rigenerazione del sistema politico e delle sue strutture portanti. La società politica ha resistito a questa me-tamorfosi, inibendola in larga parte. Dal canto loro, le Br hanno anacronisticamente interpretato le trasformazioni sociali, culturali e politiche in atto nei termini di un millenarismo comunista e della mistica della lotta armata. Per esse, l'apertura ha assunto le sembianze di una versione altamente ideologizzata e catartica del comunismo che ha loro impedito di contestualizzare la situazione di blocco entro cui il sistema politico si andava atrofizzando. Le stesse frantumazione e diaspora del-le forze della sinistra, in particolare nel variegato schieramento che si colloca a sinistra del Pci, sono in parte causate dall'atrofizzazione politica del sistema.

Sicché l'entropia sistemica rimane senza interpretazione, organizzazione, rappresentazione e refcerente. A questa entropia le Br rispondono in termini fondamentalisti, elaborando una nuova forma di integralismo politico: la ricomposizione immediatista del politico col militare. In tal modo, una domanda di innovazione e trascendimento dell'immediato contingente che non trova recezione nello spazio sistemico della politica apre un territorio che rimane vacante e che, con la crisi della sinistra extraparlamentare, sarà interamente occupato dal millenarismo brigatista. Se questo è vero, come sembra, sul piano squisitamente storico-politico, la nascita delle Br si pone come una delle punte di iceberg dell'ondata lunga dei nodi irrisolti della formazione dello Stato repubblicano e della società democratica-pluralista. Uno Stato costruito su e per il controllo, anziché sul e per il consenso; una società politica edificata sulla mediazione corporatista degli interessi dei gruppi più forti, anziché sulla piena funzionalità e trasparenza della procedura democratica4.

Ricorrendo ad una metafora, possiamo dire che il sistema politico italiano risulta essere somigliante a un sistema di "vasi comunicanti". In esso le azioni e opzioni, per quanto divergenti o addirittura antagonistiche, finiscono con il compensarsi ed equilibrarsi in maniera perversa, costituendo un rilevante problema di teoria politica. Nelle sue determinanti fondamentali, il sistema politico italiano, dalla Costituzione a oggi, si è mantenuto invariante, mantenendo inalterato e costante, pur a seguito di riaggiustamenti progressivi, il "livello" di chiusura/apertura e di domanda/offerta. I modelli delle strategie e delle decisioni politiche elaborati da tutti gli attori politici, pur largamente usurati e sottoposti a tensioni non indifferenti, hanno finito col conservarsi, ponendo mano a dei ritocchi che non ne hanno intaccato l'humus di fondo.

Risalire alla causalità storico-politica di questa trama complessa è ssenziale, se si vuole cogliere la cifra politica del fenomeno della lotta armata. L'anomalia che immediatamente risalta fa emergere come la lotta armata si sia situata ad un singolare punto di confluenza col sistema politico italiano: sua intersezione e, nello stesso tempo, sua contestazione armata. Tale evidenza richiede approfondimenti politici adeguati, capaci di reggere la complicatezza empirico-fattuale tanto del sistema politico che della lotta armata.

In genere, la scienza politica e la filosofia politica che più rigorosamente si sono applicate allo studio del sistema politico italiano hanno completamente trascurato di indagare la lotta armata. Poche le eccezioni: passiamole in rassegna, in veloce ricognizione.

Secondo L. Bonanate, il palesarsi del "fenomeno terroristico", è la spia incontroverlibile che lo Stato, il sistema internazionale e/o suoi singoli sottosistemi si sono già avvicinati o sono già precipitati in una "fase di blocco": vale a dire, "di incapacità a svolgere i propri compiti se non in modo ripetitivo, di rinnovarsi adeguandosi a nuove esigenze o nuovi stimoli, di svilupparsi e di autoregolarsi"5. Il concetto è da Bonanate ancora meglio semantizzato: "una situazione appare bloccata quando non si vede quale innovazione possa provocarne la crisi... o quando non si immagini quale strategia possa consentire di determinare una nuova situazione"6.

V'è, però, una conclusione da Bonanate estrapolata da questa cornice che non appare del tutto convincente. Per Bonanate: "Il terrorista dunque sa che si muove su una via bloccata: proprio per questo ricorre a una tecnica di lotta che gli promette di far esplodere quel blocco che gli sbarra la via"7. Ora, l'ipotesi ideologico-politica della lotta armata si regge, al contrario, sull'autoconvincimento ideologico e politico che lo sviluppo della società capitalistica e della democrazia parlamentare che, una volta pervenuto al punto limite della sua parabola, aprirebbe oggettivamente la strada alla soluzione comunista. Qui la lotta armata viene reputata la chiave di volta di questa soluzione; o meglio: la soluzione soggettiva e organizzata di un problema che si ritiene giunto a maturazione oggettiva. Le Br intendono operare non tanto nei termini dello sblocco del sistema, quanto del suo superamento armato. Per esse, si tratta di far saltare in aria non già il "sistema bloccato" (trama tematica che per le Br è inesistente), quanto le insanabili contraddizioni interne del capitalismo e della democrazia borghese, le quali avrebbero raggiunto il loro punto di massima condensazione.

Nondimeno, le osservazioni da Bonanate riferite al "blocco di sistema" paiono particolarmente acute ed esplicative. Le Br non possono assolutamente introiettare queste categorie politiche, poiché, per esse, deve parlarsi solo e sempre di crisi generale del capitalismo e mai di blocco di sistema. La prima non ammette la rigenerazione e la riorganizzazione del sistema; il secondo sì. Per le Br, il sistema capitalistico-borghese non è riformabile, ma unicamente superabile e liquidabile dall'opera di rivolgimento rivoluzionario.

N. Tranfaglia, per parte sua, ritiene che il blocco di sistema non sia stata che una delle concause della germinazione della lotta armata. Secondo Tranfaglia, le altre sono date: (i) "da un insieme di cause e di circostanze legate alla storia italiana nel lungo periodo e all'incontro tra una certa tradizione dei movimenti rivoluzionari del XX secolo e le grandi aspettative del 68"; (ii) dalla funzione di "elemento essenziale di catalizzazione" legata alla "crisi di immobilismo", alla "incapacità e assenza di volontà politica della classe dirigente di operare in senso riformatore"8. Ora, come acutamente richiama G. Pasquino investigando proprio le tesi di Tranfaglia, il blocco del sistema politico italiano è periodizzabile in due cicli principali: (i) quello "dell'assenza di risposte istituzionali/trasformazioni politiche/interventi riformatori indicata nella fase di congelamento dell'opposizione (1969-1974)"; (ii) quello in cui la "caratteristica centrale del blocco di sistema" viene alla luce come "assenza di un'opposizione punto di riferimento delle domande di trasformazione (1976-1979 dall'idea del compromesso storico alla prassi della solidarietà nazionale)"9. Lo stesso Tranfaglia collega il pieno sviluppo della lotta armata al secondo ciclo: "L'iniziata attuazione del "compromesso storico", coincidente con la crisi mortale delle maggiori organizzazioni della sinistra extraparlamentare e l'allargarsi dell'area dell'autonomia, ha anche l'effetto di far trovare migliaia di giovani avversi più o meno confusamente al "sistema dei partiti" senza nessun referente politico con il quale fare i conti e dal quale ricavare indicazioni di condotta"10.

Quest'ultima tesi trova un ulteriore sostenitore in F. Mancini, per il quale la "democrazia consociativa" (DC+PCI), all'opera tra il 1976 e il 1979, è alla base del consolidamento della lotta armata11. Per Mancini, la chiusura dei canali del futuro e della speranza (nel cambiamento) ha un effetto letale: "Quando sperano nel futuro, quando lottano con grinta per renderlo migliore del presente e quando sanno che c'è la possibilità di affidarlo a mani diverse gli uomini non delinquono o delinquono poco. Fanno l'opposto — vale a dire incrementano i tassi della criminalità comune e politica — se quelle condizioni non esistono o vengono meno"12.

Non fa qui obbligo insistere criticamente sugli elementi di ottimismo positivista presenti nel corollario della posizione di Mancini. Più opportuno è, invece, isolare la costante teorico-politica di fondo di tutto questo insieme di posizioni: alla base dell'insorgenza (prima) e del consolidamento (dopo) della lotta armata vi sarebbe l'assenza (o, quantomeno, la carenza) delle riforme. Insomma: un sistema politico senza riforme aprirebbe spazio alla lotta armata. Una tesi riconducibile a questo modello ermeneutico è espressa anche da A. Melucci, secondo cui: il "terrorismo" "è il prodotto di un processo di distorsione che ha forzato i movimenti a negare il loro contenuto proprio e a spostare il conflitto sul terreno imposto dalla repressione e dalla mancanza di risposta da parte del sistema politico"13. Col che l'elemento "movimenti" entra pregnantemente in gioco14 e il quadro si complica e completa.

Proviamo a "sistematizzare" le posizioni appena ricostruite. L'interdizione delle riforme bloccherebbe il sistema politico, inibendone il cambiamento. Chiudendosi, il sistema politico si distorce e distorce, poiché lascia le domande e le aspettative sociali senza risposte adeguate e l'ordine senza mutamento. I comportamenti che scaturiscono dalla mobilitazione collettiva restano, così, senza "cittadinanza politica" e nemmeno riescono a trovare adeguata rappresentazione simbolica nell' alveo istituzionale. Da qui una distorsione della medesima azione collettiva che è, pertanto, condannata a essere calamitata, in parte cospicua, dal polo di attrazione costituito dalla lotta armata; soprattutto nella fase "dell'assenza dell'opposizione". Il punto debole di questa analitica complessa, indubbiamente capace di identificare i tratti peculiari dell'evoluzione del sistema politico italiano, sembra essere quello di avere per dotazione schemi interpretativi monodirezionali. Il nesso sistema politico/riforme è sempre indagato dal lato della crisi che dal primo si prolungherebbe alle seconde. Non viene mai sufficientemente centrato il percorso direzionale inverso: quello che dalla crisi del riformismo conduce alla crisi del sistema politico. Sicché il paradigma riformista non viene mai esplorato nelle sue coordinate interne e nella sua genetica, onde ricategorizzarlo e riadeguarlo ai tempi e ai luoghi del cambiamento e della trasformazione.

L'insieme degli schemi che abbiamo "ricostruito" è ulteriormente articolabile su due piani.

Il primo piano:

a) la lotta armata nasce in una fase di "congelamento dell'opposizione" (1969-1974);

b) raggiunge l'acme nella fase della "assenza dell'opposizione" (1976-1979).

Il secondo piano:

a) il deficit di riforma blocca il sistema;

b) la chiusura del sistema favorisce la costituzione della lotta armata e finisce coi privilegiare gli strumenti della risposta repressiva;

c) la repressione accentua e distorce il profilo anti-istituzionale dei movimenti, avviandoli sul piano inclinato della crisi;

d) la crisi dei movimenti esalta gli effetti negativi dovuti alla "assenza di opposizione" e fa della lotta armata il maggiore fattore di catalizzazione dell'opposizione politica e sociale.

Se si tiene conto del complesso di questi schemi articolati, ben si può concludere che le varie ipotesi interpretative a essi collegate siano unite da un denominatore comune, per lo più sottaciuto. Appare sin troppo evidente che l'incapacità da parte del sistema di rinnovarsi e di autoregolarsi; di elaborare ed esperire strategie politiche atte a "sbloccare" la situazione; di operare "in senso riformatore"; di restituire la "speranza" nel futuro e rendere migliore il presente; di dar corpo a una nuova classe politica dirigente, ecc. ecc. è responsabilità che incombe anche (o soprattutto) in capo alla Sinistra. È l'assenza di alternative che blocca il sistema; l'incapacità della Sinistra di proporsi, sperimentarsi e consolidarsi come alternativa che sclerotizza la società politica, mancando di avviare a soluzione i nodi strutturali del sistema politico italiano. In conclusione, se è responsabilità della classe politica di governo quella di aver sospinto al blocco il sistema politico, è responsabilità politica delle forze della Sinistra quella di non aver saputo forzare questo blocco sistemico, rimanendo invischiate nelle sue aporie e contraddizioni interne. Crisi della classe politica di governo e crisi della Sinistra si incrociano. Incrociandosi, agiscono come moltiplicatore dei fattori perversi costitutivi del sistema politico italiano. Il più importante dei quali pare il pregiudizio del centro che si afferma come legge fondamentale e assoluta, regolante le strategie e le condotte degli attori politici e che celebra il suo trionfo negli anni Settanta15.

La stessa sistematica politica è costretta a subire questo dato: dopo le teoriche del pluralismo polarizzato (Sartori) e del bipartitismo imperfetto (Galli), assistiamo all'elaborazione del pluralismo centripeto (Farneti)16. Ora, quello che è costante-mente messo in ombra dall'analitica del sistema politico bloccato è la specificità e dirompenza della crisi della Sinistra italiana, in tutte le sue nervature organizzate e semiorganizzate. Ciò ha fatto sì che le forze della Sinistra, indagando il rapporto sistema politico/lotta armata, rimanessero sovente prigioniere di una catena di rimozioni. Al punto da non far distinguere tra "terrorismo nero" e "terrorismo rosso"; da argomentare di un unico "disegno criminoso" tra "terrorismo politico", "poteri invisibili" e grande criminalità organizzata. Particolarmente il Pci si è distinto su questo terreno; e particolarmente alcune sue componenti interne. Valga per tutte la tesi "storiografica" di U. Pecchioli, a lungo responsabile della sezione "Problemi dello Stato" del partito: "L'attacco terroristico non può trovare spiegazioni adeguate attraverso analisi frantumate, per "spezzoni" di terrorismo, ciascuno dei quali interno a dinamiche, disegni, lacerazioni politiche e morali diverse. È presumibile che non sarà questa la chiave prevalente di ricerca per gli storici del futuro. In realtà il terrorismo nero o rosso che sia ha avuto ed ha un proposito oggettivamente comune: scardinare questa democrazia per la sua originalità storica e politica"17. L'integralismo semplificatorio e strumentale della tesi è fin troppo palese. Limitiamoci a commentare, con Donatella della Porta e Maurizio Rossi: "Dispiace dover constatare ogni volta che il panorama intellettuale italiano è così popolato di semplificatori ad ogni costo, anche al costo di un uso alquanto "terroristico" dell'avverbio "oggettivamente". In verità, quella chiave è una chiave falsa. Perché si tratta di un approccio che contiene già tutto, i fatti e la loro interpretazione, le domande e le risposte. In verità, quella chiave è una chiave inutile. Perché non lascia porte da aprire. Che osa infatti dovrebbe ancora ricercare lo storico, se non i nomi e i cognomi?"18.

Anche nell'indagine sulla lotta armata, l'urgenza è quella di riflettere sul sistema politico italiano e sulla Sinistra. Pare scontato che debba trattarsi pure di una autoriflessione del sistema politico e della Sinistra. I modelli universalistico-semplificatori, assolutori rispetto alle proprie responsabilità, rimuovono il carico di queste domande inquietanti, sottraendosi a qualunque messa in questione della loro fondatezza. Solo quegli attori politici che si ritengono immuni da errori, possono eludere questi interrogativi. Col che divengono i paladini della loro propria continuità e i custodi della loro propria mummificazione, non senza consistenti punte di settarismo e di boria. Ma anche una volta che si è detto che non v'è nessuno senza responsabilità e senza "macchie", restano da individuare immediatamente e immediatamente da precisare e qualificare responsabilità e "macchie" di ognuno. Non tutti hanno eguali responsabilità. Pare sin troppo evidente. Ognuno è interamente responsabile delle proprie scelte; ogni scelta va misurata e giudicata per il profilo storico e l'incidenza etico-politica cui ha dato corso. Tutti sono responsabili; non per questo tutti sono innocenti o tutti ugualmente colpevoli. Il giudizio della storia non consente a nessuno di sfuggire alle proprie responsabilità, così come sa riconoscere la trama della verità e della giustizia, attraverso itinerari spesso tormentati e lunghi. Chi è stato (ed è) nel giusto e nel vero, non può concedersi il lusso dissipativo di indulgere alla boria e al settarismo. Ha qualcosa in se stesso che lui stesso deve rivedere, se non vuole perdere la propria giustizia e la propria verità, rielaborandole e offrendole alla crescita e alla maturazione.

L'indagine incrociata sulla lotta armata e il sistema politico è uno dei banchi di prova più importanti su questo terreno. La proposta di lettura fornita da G. Galli19 costituisce il tentativo più articolato di analisi parallela e combinata di lotta armata e sistema politico, finora condotto. Ciononostante le chiavi di lettura proposte da Galli e le rappresentazíoni storico-analitiche che ne conseguono non appaiono pienamente convincenti, laddove non sono apertamente fuorvianti. Ciò a prescindere dalle frequenti e notevoli imprecisioni presenti sul piano della ricostruzione storica e su quello dell'approssimazione della genesi e dell'evoluzione delle linee di elaborazione delle Br, nel loro sviluppo e mutamento.

Il background da cui Galli procede all'analisi del nesso tra lotta armata e sistema politico ha due costellazioni di riferimento fondamentali20. La prima è di ascendenza contemporanea: il falsificazionismo di Popper e il funzionalísmo strutturale di Merton; la seconda ha un'ascendenza classica: dai pensatori greci della polis a quelli moderni della formazione dello Stato (Hobbes), della "divisione dei poteri" (Locke, Montesquieu) fino ai teorici della "democrazia rappresentativa", comprendenti un classico contemporaneo come Norberto Bobbío.

Non è possibile qui discutere l'implicanza epistemologica del riferimento al falsificazionsimo e al funzionalismo; e nemmeno la rilevanza in termini di scienza politica del referente costituito dalle teorie democratiche del potere. Si deve, però, senz'altro dire che l'analisi di Galli è quella che più articolatamente si pone il compito di sciogliere i nodi di teoria politica connessi allo sviluppo della lotta armata in Italia e alla relazione da essa intrattenuta col sistema politico.

Che lo scavo operato da Galli sia soltanto una prima approssimazione polítologica al problema pare fuori di dubbio. Crediamo, anzi, che uno sviluppo rigorosamente politologíco dell'analisi conduca a una messa in mora, su più di un punto rilevante, dell'impostazione e delle conclusioni di Galli. Ciò già sul piano strettamente metodologico. L'ermeneutica e la metodica di Galli risultano depauperate da una doppia anima che fa slittare continuamente lettura e discorso tra polarità e dimensioni di senso contraddittorie, se non opposizionali. L incongruenza interna è particolarmente palesata da quella sorta di "diagramma delle parallele" che fa a Galli rappresentare la genesi e l'evoluzione della lotta armata in Italia (anche) come intreccio con le dinamiche di stabilizzazione politica degli apparati di sicurezza dello Stato, l'insediamento diffusivo di poteri occulti e la crescita di poteri criminali. Sicché, da un certo punto in poi, una lettura politologica dei servizi di sicurezza, dei poteri occulti, della mafia e della camorra, con un vero e proprio rovesciamento di semantica, si combina con una lettura criminogena della lotta armata, dando luogo a non pochi equivoci e problemi interpretativi. La semantica politica con cui pure si intendeva approcciare e leggere il fenomeno della lotta amata si eclissa, come dimezzata e sospesa da patterns interpretativi dichiaratamente non politici ed esclusivamente criminogeni-congetturali. Per dir così: criminalia sostituisce politia. I paradigmi della prima si sovrappongono a quelli della seconda, poiché si omette di portare a conseguente esito lo sviluppo dei nodi di teoria politica implicati dal tema in questione e dagli scenari storico-sociali richiamati.

A dire il vero, tra la letteratura e la storiografia intervenute sul problema, Galli si segnala per aver meno di altri fatto vivere queste aporie. Un'intera area della sinistra estrema (non solo il Pci) ha costantemente e per intero letto la storia della lotta armata (e delle Br, in particolare) come connessione oggettivo-soggettiva con poteri occulti, servizi segreti e grande criminalità. Ciò dalle prime azioni di "propaganda armata" del 1970-71 fino all'uccisione del senatore Ruffilli nel 1988. Ora, questo deficit dì analisi storica e politica è certamente collegabile a esigenze simboliche di esorcizzazione e/o demonizzazione del fenomeno. Sicuramente, inoltre, fanno capolino in qualche forza politica strumentali interessi di parte, connessi alle tattiche e ai programmi politici del momento e della prospettiva. Ma, con altrettanta certezza, si può concludere che alla base del tutto vi siano state e vi siano l'arretratezza e la povertà dei modelli interpretativi, politici e culturali, con cui il sistema politico italiano nel suo complesso e le singole forze politiche differenziatamente hanno interpretato e inteso trasformare le realtà sociale entro cui agivano.

La cultura politica italiana (ma non soltanto la cultura politica) non è stata e non è sufficientemente autonoma dal sistema politico: più che disvelarne i limiti e i ritardi di fondo, ha creato nei suoi confronti una rete protettiva di giustificazioni ideologiche, di supporti di legittimazione e di difesa simbolica. Quando, invece, si è, collocata su posizioni di aperto dissenso o antagonismo, spesso e volentieri non ha retto alla complessità del compito e all'altezza storico-problematica dei nodi sul tappeto, partorendo paradigmi, ipotesi e tesi assai semplificatori e riduttivi.

In questo lavoro partiamo dalla rilevazione dell'insieme di questi limiti, tentandone un primo e parziale superamento. Lo scopo è quello di ricondurre, in prima approssimazione, ai suoi perspicui termini politici un fenomeno che è stato strutturalmente politico.

1. La gestazione

Significativamente, i primi consistenti elementi formali di teoria politica sono dalla Br rivolti a fissare "la fase attuale dello scontro di classe". Questa è, infatti, la domanda con cui si apre l'Autointervista del 1971, il primo documento teorico compiuto elaborato dalle Br. In precedenza l'elaborazione politica era stata più frammentaria e provvisoria. Nondimeno, fin dall'inizio, gli elementi politici caratterizzanti l'identità delle Br sono estrapolabili con assoluta chiarezza dalla loro rifles-sione politica.

Se bisogna aspettare il settembre del 1971 per la istituzionalizzazione e la formulazione organica di un primo omogeneo sistema di teoria politica, funzionante per le Br medesime come orizzonte di riferimento, è pur vero che tutto ciò rappresenta il punto di arrivo di una riflessione pregressa che ha nel "Collettivo politico metropolitano", in "Sinistra proletaria" e "Nuova resistenza" i passaggi organizzativi principali. Giova, pertanto, gettarvi sopra l'occhio.

È, ormai, consuetudine far risalire i prodromi della nascita delle Br al convegno del novembre 1969 tenuto nell'albergo Stella Maris di Chiavari dal "Colìettivo politico metropolitano"21. A noi questo convegno interessa per un motivo assai particolare: la proposta di un discrimine teorico e politico intorno al tema della "rivoluzione nella metropoli". Discrimine sul quale si consumerà l'esperienza del "Collettivo politico metropolitano" e prenderà avvio un processo teorico-politico e organizzativo che, in capo a un anno, porterà alla costituzione delle Br. Nell'occasione, si realizza una forte discontinuità con la tradizione marxista (anche marxiana in senso stretto). Attraverso la mediazione teorico-pratica derivata dalle proposte della guerriglia latino-americana, il problema della rivoluzione viene unificato a quello del potere ed entrambi vengono fatti coincidere con la lotta armata. Il richiamo è esplicitamente a una affermazione di Marcelo De Andrade: " ... ogni alternativa proletaria al potere è, fin dall'inizío, politico-militare. La lotta armata è la via principale della lotta di classe". Il tema rivoluzione viene qui ridotto alla mera ricornposizione del politico col militare. La dimensione politico-militare della rivoluzione sarebbe il presupposto ineludibile che solo garantirebbe la conquista e la gestione del potere. Questo paradigma, non casualmente, viene elaborato in una realtà come quella sud-americana caratterizzata: (i) politicamente, dal dominio di regimi militari reazionari e (ii) storicamente, da un contesto sociale di arretratezza e povertà estreme. Dallo stesso punto di vista marxista, si trattava di società a bassissimo tasso di accumulazione capitalistica e ad altissimo indice di gerarchizzazione sociale. Al che si deve aggiungere la sussistenza di un basso livello di differenziazione sociale, anche per effetto dei due fenomeni dapprima indicati.

In un contesto di questo tipo, il processo rivoluzionario viene per intero sottratto allo sviluppo delle forze produttive e collegato all'accumulo di tensione politica derivante dalla forte gerarchizzazione sociale, dalla durezza delle condizioni di vita e dall'intensità del dispotismo politico con cui le classi al potere governavano. La piattaforma teorica su cui nascono le Br aderisce a questo paradigma, pur non trovandosi la società italiana e il sistema politico italiano nelle condizioni in cui versavano quelli sudamericani. Una volta accettato, il paradigma viene adattato alla situazione italiana attraverso una serie di filtri successivi. Primo dei quali è quello del mito della resistenza. Ciò su un doppio livello: (i) quello simbolico della sollevazione armata delle masse; (ii) quello politico, col tentativo di disegnare una classista continuità storica tra fascismo e democrazia parlamentare. Le Br sono estremamente consapevoli delle fratture che inseriscono a confronto della tradizione cui si richiamano e, coerentemente, ne teorizzano la necessità. Anche per questo costantemente si rifanno agli scritti leniniani sulla "lotta partigiana", pure qui dando luogo a una estrapolazione riduzionistica. Quella che in Lenin è una "forma di lotta" contingente, di appoggio e in ogni caso collaterale al processo rívoluzionario vero e proprio diviene nelle Br la forma della rivoluzione nella metropoli. Il punto teorico cruciale su cui le Br recuperano tutto il loro rapporto discontinuo con la tradizione del pensiero rivoluzionario è dato dall'analisi della metropoli come luogo della ricomposizione di tutti i saperi e di tutti i poteri; e di tutti i saperi con tutti i poteri. Un'anticipazione di questo topos cardine dell'impianto teorico delle Br si trova già nella relazione che Renato Curcio legge al convegno di Chiavari del 1969. Si tratta, precisamente, dell'analisi del ruolo occupato dalla città nel sistema capitalistico avanzato e all'intemo del processo rivoluzionario teso a sovvertirlo: "La città è il cuore del sistema, il centro organizzativo dello sfruttamento economico e politico, deve diventare per l'avversario un terreno infido: ogni posto può essere controllato, ogni arbitrio denunciato. La lunga marcia rivoluzionaria nella metropoli deve cominciare oggi e da qui"22. Le tematiche resistenziali e quelle guerrigliere latino-americane vengono, in questo modo, recuperate alla realtà e allo scenario di senso entro cui l'analisi colloca la metropoli e le sue fenomenologie sociali e politiche. È la metropoli che qui detta e giustifica la ricomposizione del politico col militare. Ricomposizione non finalizzata contro il dispotismo fascista e nemmeno contro la tirannide dei regimi reazionari sudamericani; bensì direttamente e apertamente contro la democrazia rappresentativa borghese, al più alto livello di sviluppo delle forze produttive del capitale. Risiede qui, fin dal principio, il tratto peculiare e innovativo che caratterizza le Br e che le differenzia dalle altre organizzazioni di guerriglia europee e latino-americane.

G. C. Caselli e D. della Porta, invece, ritengono che in tutta la fase del 1970/1973-74 le Br non si discostino dai modelli della "Rote Armee Fraktion" (Germania), dell'"Esercito Rosso" (Giappone), dei "Weather Underground" (USA), della "Nouvelle resistence populaire" (Francia)23.

Lo stesso richiamo esplicito alla resistenza, nelle Br, compare come rimando simbolico e recupero di una tradizione recente a una attualità rapidamente modificatasi. Sotto questa complessa struttura categoriale in formazione opera una dinamica di trasformazioni sociali e concettuali di rilievo. È questa dinamica che le Br tentano di leggere e afferrare con la loro ermeneutica, fissandola in una ridisegnata strategia rivoluzionaria. Che la metodica e l'ermeneutica delle Br non riescano ad allinearsi e sintonizzarsi col quadro delle novità epocali e concettuali sedimentate dal tempo storico non impedisce che quella dinamica di trasformazioni sottostante faccia il suo corso. Non preclude, altresì, che le formalizzazioni teoriche delle Br, indipendentemente dal loro grado di perspicuità, siano come ispirate da una dialettica storico-concettuale.

Illustrando il suo modello di morfogenesi e il nesso tra .stabilità strutturale" e "catastrofi", R .Thom osserva: "... la staticità di una struttura è determinata da una dinamica sottostante che la genera e di cui essa è la rnanifesta-zione"24. Ora, nel nostro caso, le Br sono manifestazione di una dinamica che si sdoppia in due movimenti: (i) sono come inserite dal processo di crisi dello sviluppo capitalistico (dal modo di produzione alle ideologie fino agli assetti politici); (ií) esprimono la crisi dell'ideologia rivoluzionaria che tentano di modernizzare con innesti concettuali che, se non ne mettono in questione l'assialità di fondo, ne distorcono apertamente le coordinate di sviluppo strategico e tattico e ne alterano i modelli di azione. Come attore politico in senso stretto, le Br si pongono e configurano come soggetto storico della "modernizzazione" dell'ipotesi rivoluzionaria, a fronte della crisi del sistema dominante (in tutte le sue latitudini) e di quella delle posizioni afferenti alla tradizione del pensiero e dell'azione rivoluzionari. Crisi del capitalismo (e delle sue ideologie) e crisi della rivoluzione (e delle sue ideologie) costituiscono gli assi cartesiani su cui le Br innescano quella dinamica di movimento che le condurrà in breve a strutturare le categorie portanti del loro impianto politico.

La modernità vera, l'uscita dalla modernità capitalistico-borghese, per le Br, sin dal periodo della loro prima gestazione, si situa fuori della crisi del capitalismo e fuori della crisi della tradizione rivoluzionaria. Ma, così, operando, è la rivoluzione tout court che viene concepita e allocata come Tradizione25: refutate e rifiutate, in più punti, le ideologie rivoluzionarie del passato, rimane in piedi la rivoluzione come tradizione, come eredità e identità, a un tempo, da riafferrare e integralmente ricostruire. La modernità di cui le Br si sentono depositarie è la rivoluzione sotto forma di Tradizione. Attraverso questa mediazione, le Br possono pensare la "mo-dernizzazione" di cui sono portatrici come rivoluzionarizzazione. La dinamica che all'origine avevamo scoperto sdoppiata qui si precisa ulteriormente: si tratterebbe di rivoluzionare il sistema dato e la datità fissa del modello sclerotico di rivoluzione che le ideologie rivoluzionarie avevano tramandato. Per questa semantica in formazione, tutto ciò che è attaccato e divorato dalla crisi è perciò stesso degno di essere rivoluzionato: all'interno come all'esterno delle mura amiche. All'esterno, sotto le forme dell'antagonismo che non conosce mediazioni; all'intemo, per il tramite di mediazioni e fratture progressive, onde attestare una situazione teorico-politica più avanzata e adeguata ai tempi.

Tutti i nodi vengono al pettine. Possiamo già qui rintracciare il peso specifico dei vizi portanti che caratterizzeranno lo specifico della posizione teorica e politica delle Br. Cominciamo con l'individuare un limite di fondo di natura epistemologica: una dialettica onnivora del riadattamento che fa alle Br applicare in contesti teorici e sociali impropri paradigmi ed elementi paradigmatici propri a modelli teorici e situazioni sociali assolutamente non in rapporto di analogia. Procediamo con l'identificare un secondo limite epistemologico: una concezione riduttiva dello statuto della crisi, configurata unicamente come situazione limite catastrofica e non anche come metabolizzazione e crescita del contesto entro cui agisce. Poi sopravvengono limiti più propriamente di natura teorico-politica: (i) la non adeguata analisi dello specifico della democrazia rappresentativa nelle società avanzate; (ii) la carenza di lettura delle forme politiche intorno cui lo Stato borghese si andava ridislocando; (iii) l'omessa considerazione del potenziale di conflitto, in funzione di "rigenerazione democratica", connaturato alle società altamente sviluppate; (iv) la mancata rilevazione della frammentazione e centrifugazione di attori e fenomeni sociali; (v) una sorta di "giacobinismo politico" che limita il processo rivoluzionario alla ricomposizione del politico col militare; (vi) la sovrapposizione tra forma di lotta e strategia; (vii) l'effetto di regressione che investe la categoria e la prassi della rivoluzione, ridotta a tradizione, a tema ideologico. Infine, vanno rilevati i limiti della teoria economica nell'investigazione dei sistemi capitalistici sovraccumulati. Tutti i processi di intemazionalizzazione dei cicli produttivi, di diversificazione e automazione della produzione, ecc., vengono ancora interpretati secondo i canoni dell'analisi leniniana dell'imperialismo e nel quadro previsionale della marxiana legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. Limiti che, presenti già all'ini-zio neil'elaborazione delle Br, troveranno la loro sistematizzazione organica nella Risoluzione della Direzione Strategica del febbraio del 1978 e nel volume l'Ape e il comunista, redatto dai militanti prigionieri delle Br tra il 1979 e il 1980.

Non è possibile, in questa sede, discutere partitamente l'articolato delle categorie economiche azionato dalle Br; tantomeno il combinato dei limiti di natura epistemologica. Possiamo solo fare cenno alle conseguenze deleterie che l'assai elementare teoria economica delle Br e il rilevante deficit epistemologico di tutte le loro posizioni riverberano sulla loro teoria politica. Per quanto attiene all'intreccio con l'economia politica, va osservato che proprio sulle analisi assai semplificatrici della "concentrazione della produzione" e della "centralizzazione finanziaria", a livello planetario, le Br faranno corrispondere, a partire dal 1974-75, la teoria dello "Stato imperialista delle multinazionali" e la strategia dell'"attacco al cuore dello Stato", il cui ceto politico di comando viene denominato "borghesia imperialista". Sul piano epistemologico, qui al centro economico: le multinazionali, viene fatto corrispondere simmetricamente il centro politico: lo "Stato Imperialista delle Multina-zionali" (SIM). Il tutto in un rapporto lineare di causa/effetto che assegna all'economico (così come vuole l'ortodossia marxista e non come è possibile rinvenire propriamente in Marx) un ruolo in ultima istanza determinante rispetto al politico.

L'autonomia della teoria politica delle Br risulta macerata e ossificata da questo tarlo interno. Più in generale parlando, l'epistemologia che di fatto sorregge l'impianto delle Br ha una bassa soglia di scientificità e, soprattutto, assume come suoi termini di riferimento modelli di sapere e di cultura rimasti fermi all'Ottocento. L'epistemologia delle Br, se è lecito far uso di questa espressione, persino al livello della più alta elaborazione brigatista degli anni Settanta (l'"Ape e il comunista"), rimane ferma alla "rottura epistemologica" tra il "Marx giovane" e il "Marx maturo", realizzatasi intorno al 1845 con opere quali L'ideologia tedesca. Ora, proprio questa operazione delle "Br mature" espone oltremodo il loro impianto — e loro malgrado — al condizionamento dello strutturalismo francese; senza nemmeno che la nozione stessa di "rottura epistemologica" venga adeguatamente esplorata: dalla formulazione originaria di G. Bachelard ai successivi impieghi di Canguilhem, Foucault e Althusser26. Pur presumendo di superare le culture domi-nanti nei loro punti di massima implementazione, in realtà, le Br se ne collocano al di qua. Esse si attestano in una posizione arretrata a confronto del dibattito sviluppatosi a cavallo dei due secoli sulla "crisi dei fondamenti" e negli anni Trenta intorno alla crisi del neo-positivismo; figuriamoci rispetto a tutto ciò che viene dopo! Queste evidenze negative non possono non marchiare in maniera esiziale i loro metodi, i loro saperi, le loro culture, le loro teorie e i loro modelli di azione.

2. Assestamento teorico, invarianti concettuali, sistema politico e pratica politica

Il 20 ottobre 1970 "Sinistra proletaria", per il tramite di un "foglio di lotta", annuncia la nascita delle Brigate rosse. L'atto di costituzione viene, così, giustificato e finalizzato: "contro le istituzioni e per una nuova legalità e un nuovo potere"27. Le Br pongono la lotta armata come punto di convergenza di questa doppia esigenza. I movimenti dell'azione collettiva solo embrionalmente, per le Br, accedono a questa soglia. È l'azione consapevole e finalizzata, strategicamente programmata, esse sostengono, che può recuperare al più alto livello e stabilizzare la mobilitazione spontanea sul terreno della contestazione del potere borghese e su quello del consolidamento del potere proletario. Questa azione consapevole, strategica e programmata è, secondo le Br, unicamente imputabile all'avanguardia che si costituisce in "organizzazione comunista combattente". Già Lenin (nel Che fare?) aveva definito l'azione spontanea delle masse solo come "embrione" della coscienza rivoluzionaria, assegnando all'agire d'avanguardia del partito le funzioni di direzione, ricomposizione e finalizzazione del processo rivoluzionario e di "educazione" ideologico-politica delle masse. Qui, nel caso delle Br, la funzione di partito è imputata all'avanguardia armata che si costituisce come nucleo fondante e portante del (futuro) "Partito armato del proletariato" e, nel medesimo tempo, come fulcro della transizione al comunismo, della nuova legalità e del nuovo potere. Le Br si assegnano, così, il duplice compito di anticipare gli elementi teorico-pratici tanto dell'agire da partito quanto della società comunista. È qui possibile cogliere una particolare mediazione tra l'orizzonte strategico e lo spazio del contingente. I due livelli, nell'analisi delle Br, non si sovrappongono mai; però, sono continuamente raccordati dalla tattica e dai programmi di azione che, di fase in fase, vengono elaborati. La forma partito messa in codice dalle Br è l'incarnazione storica, politica e organizzativa di questa mediazione e ha un doppio movimento. Da una parte, intende attestare sempre più in alto l'insorgenza spontanea di massa. Dall'altra, allargare sempre più in basso le idealità, le necessità e i valori della società comunista, espandendoli lungo le condotte della mobilitazione collettiva.

Non fa meraviglia, se su questo "sfondo" la realtà storico-sociale, i fenomeni e gli eventi che accadono in società vengano, poi, enfatizzati e drammatizzati, a seconda dei casi. Così è per le lotte spontanee e le forme di lotte; così per il ruolo e l'azione dello Stato e delle istituzioni. Il modello originario delle Br, che stiamo qui discutendo, dà luogo a una metaforologia e a richiami simbolici che sezionano e privilegiano alcune lotte, piuttosto che altre; operano discrimini tra alcuni attori sociali e altri; si appuntano e accentrano su alcuni luoghi del potere, piuttosto che su altri. Un dato contraddittorio, in particolare, colpisce nel quadro che è possibile inferire dal nucleo di fondazione delle Br. Si tratta di un'oscillazione che accompagnerà tutta la loro storia e che, nell'ultima fase calante, darà luogo a vere e proprie scissioni.

Per un versante, si deve registrare una lettura euforizzante delle lotte spontanee di massa, senz'altro ricondotte a un piano che embrionalmente anticipa i valori della società comunista e del potere proletario. Per l'altro, è compresente un giudizio politicamente negativo sulle possibilità strategiche dei movimenti di massa, al punto che sono espressamente previsti nuovi moduli di organizzazione e direzione politica e nuovi centri di imputazione ideologica, atti a ridisegnare la sistematica del potere proletario nella metropoli. Nel mare mosso di questa oscillazione, le Br radicano l'esigenza della costruzione del "Partito armato del proletariato". Vale a dire: le Br teorizzano la necessità della loro esistenza. Esse, costituendo se stesse, ritengono di dare il via a questa nuova processualità storica, all'insediamento di nuove forme politiche, di elaborazione progettuale e di intervento sociale. Tale complesso di elementi, non sempre in equilibrio, fa sì che esse, fin dal principio, siano attraversate, al massimo livello di compenetrazione, da un'anima "movimentista" e da un'altra "strategico-organizzativistíca". Elementi rivisitati e semplificati di teoria leniniana dell'organizzazione convivono, talvolta, con una vera e propria apologia dell'azione delle masse, ideologicamente ricondotta a contenuti saldamente e stabilmente anticapitalistici. Complementari alla apologia sono una concezione e una prassi dell'azione dell'avanguardia, secondo cui funzione di partito e mobilitazione spontanea si recuperano reciprocamente e al massimo livello. Per contro e all'estremo opposto, sono estremamente radicate nelle Br — e fisiologicamente, tenendo in conto la loro geneaologia complessa e stratificata — tendenze che installano la teoria-prassi dell'organizzazione su un percorso completamente autonomo e parallelo rispetto alla mobilitazione collettiva. Dal principio alla fine, le Br oscilleranno tra queste due tendenze. Di volta in volta, medieranno tra esse, in virtù dell'"analisi di fase" oppure del "giudizio sullo scontro di classe". Ora privilegeranno il lato strategico-organizzativo dell'agire da partito; ora, soprattutto a far data dalla Risoluzione della Direzione Strategica del febbraio 1978, metteranno l'accento sull'esigenza di tenere saldamente e dialetticamente uniti i due poli, senza, peraltro, riuscirvi. Nel primo ciclo della loro esistenza politica, le Br privilegeranno costantemente il collegamento con i contenuti delle lotte di massa. Ciò non solo per effetto di opzioni soggettive; ma anche per il sussistere di necessità storico-politiche. La fase della "propaganda armata", a quel tempo da loro teorizzata, impone l'articolazione capillare dei contenuti della loro proposta e un aggancio alle tematiche sollevate dalle lotte di massa. Pena il vanificarsi, già in avvio, delle possibilità stesse di sviluppo strategico della lotta armata.

In un successivo "foglio di lotta" di "Sinistra proletaria" (del 28 ottobre 1970), le Br esplicitano meglio questi nuclei tematici, a partire dalla indicazione netta e precisa dell'obiettivo da conseguire: "Cosa vogliamo? Vogliamo il potere. Lo abbiamo det-to dall'inizio. Perché fino a che il potere lo avranno i padroni, la nostra condizione non potrà cambiare ... Se orientiamo la lotta contrattuale contro l'organizzazione capitalistica della produzione e del potere dobbiamo aspettarci una risposta deci-sa"28. Ciò che qui ci preme sottolineare particolarmente è l'operazione palese, al punto da essere tradotta ed estremizzata secondo i canoni dell'"agitazione e propaganda", tesa a saldare strettamente il problema della "prospettiva di potere" con il tema dell'espansione del "potere proletario". Sicché la mobilitazione di massa per il potere si connette con la questione del potere per la mobilitazione di massa. Le Br si pongono esplicitamente come cerniera strategica, centro attivo e operativo di questa doppia dialettica. Ciò le colloca al di là della tradizione e dell'esperienza del marxismo-leninismo europeo: dalla Terza Internazionale alla costituzione del PCd'l a Livorno nel 1921 fino alla formazione degli innumerevoli, e assolutamente marginali, partitini m-l che negli anni '60 e '70 avranno modo di germogliare in Italia, in Europa e nel mondo. Unico termine di comparazione politica possibile è l'esperienza maoista, la quale vede al partito svolgere un ruolo di "avanguardia di massa", articolato secondo le capillari e distinte funzioni del "lavoro di massa" e della "linea di massa". Le Br assemblano in maniera assolutamente originale il modello leniniano (e dell'Ottobre) con quello maoista (particolarmente, della "grande rivoluzione culturale proletaria".) Come dire: "il verticismo giacobino" di Lenin viene stemperato e mediato dal principio maoista: "dalle masse alle masse". Ciò è facilitato dalla particolare recezione delle lotte studentesche e operaie del '67-69 da parte dei nuclei originari che perverranno alla costituzione delle Br. È la partecipazione attiva a quel crogiuolo di lotte che renderà questi nuclei particolarmente sensibili al discorso di Mao che ritematizza il discorso leniniano sull'organizzazione. Le Br si servono di Mao per "correggere" Lenin; e della teoria-prassi della guerriglia per "correggere" Marx, Lenin e Mao. Di Marx conservano il discorso prospettico-strategico della transizione al comunismo; di Lenin, la funzione di avanguardia del partito; di Mao, la caratterizzazione di massa dell'agire da partito. La lotta armata recupera e ricontestualizza in un quadro partorito di bel nuovo sia il discorso marxiano sulla transizione, sia quello leniniano sull'organizzazione, sia le funzioni di massa dell'agire da partito proprie del discorso di Mao. Le Br estrapolano tutti questi elementi dai loro patterns, della cui causalità e della cui finalità vengono evirati, e li giustappongono in una cornice in cui convivono con elementi originariamente a loro estranei. Eppure, quella delle Br non è un'operazione eclettica. Il loro è un grande sforzo di "sintesi superiore" delle tre figure portanti della storia del marxismo mondiale: Marx, Lenin e Mao. Sintesi che esse cercano di rielaborare alla luce delle condizioni storiche della metropoli e secondo le esigenze di un modello di azione nuovo: la guerriglia, intanto affacciatosi sulla scena della lotta di classe internazionale. Quelle delle Br è, pertanto, un marxismo-leninismo tutto particolare: quasi eretico, sicuramente scandaloso rispetto all'ortodossia e filologia marxiste-leniniste29.

Sul piano dei modelli di azione politica, e per quanto attiene alla teoria politica in senso stretto, certamente le Br rappresentano un'esperienza discontinua e assolutamente originale, a confronto dei precedenti teorico-politici da cui germinano. Diversamente, per quanto concerne il piano dei modelli culturali le Br integrano un caso di impressionante e sconcertante continuità a paragone della tradizione che assumono come loro riferimento: il materialismo storico; la dialettica materialistica con tutte le sue "leggi"; la critica dell'economia politica ispirata da Marx, ecc. Anzi, con specifico riferimento ai modelli culturali, le Br semplificano e, spesso, impoveriscono e volgarizzano i contenuti della cultura a cui guardano con particolare interesse. A una reale ed effettiva crisi dello statuto ontologico-epistemologico del marxismo le Br fanno anacronisticamente corrispondere una riproposizione stereotipata ed estenuata dei suoi modelli più usurati. Una riproposizione che, per di più, è fatta di richiami assertivi e asseverativi, per niente argomentata e problematizzata. Per leggere analisi più complesse, bisogna aspettare L'Ape e il comunista e Gocce di sole nella città degli spettri 30. Paradossalmente (ma non troppo), le Br approfondiranno il loro interesse per le "questioni teoriche" verso la fine del loro ciclo storico e i loro approfondimenti acuiranno la distanza polare tra il quadro delle loro analisi previsionali, da un lato, e i processi storici e il mutamento culturale che, dall'altro, andavano procedendo nella realtà. Anche in questo senso va interpretata l'intera esperienza del "Partito guerriglia" e la relativa elaborazione teorica31. Le stesse componenti delle Br che si richiameranno al modello del "Partito comunista combattente" solo verso il crepuscolo della loro esperienza concentreranno la loro analisi su alcuni nodi teorici di fondo, su cui si consumerà la divisione tra "Prima" e "Seconda posizione" (prima) e la scissione tra Pcc e Ucc (dopo)32. Ma questa è storia degli anni Ottanta e altrove dovrà essere affrontata.

Abbiamo visto come l'atto costitutivo delle Br sia contrassegnato da temi teorici e politici che le accompagneranno per tutta la loro esistenza. Con il sopravvenire del 1971 questo quadro si precisa ulteriormente. Col numero uno/due "Sinistra proletaria" cessa le pubblicazioni, ritenendo esaurita la sua esperienza e necessario aprire una nuova fase; e cioè: "organizzare la nuova resistenza". Ma una "nuova resistenza" per che cosa, in vista di quale obiettivo strategico? Ecco la risposta: "radicare nelle masse proletarie in lotta il principio: non si ha potere politico se non si ha potere militare; educare attraverso l'azione partigiana la sinistra proletaria e rivoluzionaria alla resistenza, alla lotta armata"33. Il 25 aprile 1971, anniversario della Liberazione, le Br pubblicano il primo dei due numeri di "Nuova resistenza", nel quale sono delineate le prospettive e le finalità della "nuova resistenza"34. Con chiarezza, viene indicato che la "strategia unitaria del movimento di lotta" è definibile e attuabile unicamente attorno allo sviluppo della guerriglia come forma per la liberazione. Il consolidamento della guerriglia è concepito come sviluppo della liberazione. L'unità del movimento di lotta deve, pertanto, stringersi intorno alla prassi della guerriglia intesa come prassi di liberazione.

Questa, in breve, la progressione teorica che condurrà le Br alla prima sistematizzazione teorica del loro impianto politico, avvenuta nel settembre del 1971 con un'Autointervista diffusa soprattutto a Milano e Torino35.

Ma, prima di esaminare il merito di questo documento teorico, giova ripercorrere a grandi linee gli elementi principali che caratterizzano la situazione politica nel 1970-71.

Il sistema politico appare paralizzato dal boccheggiamento in cui versa la coalizione di centrosinistra che, col governo Colombo, allo scopo di combattere la recessione in corso, dà luogo (1970) a una serie impopolare di "decretoni" che solleveranno la tenace e vivace opposizione della Sinistra, fino ad arrivare all'ostruzionismo parlamentare. Egualmente vasta è l'opposizione sociale, in cui si distinguono soprattutto il sindacato e la sinistra rivoluzionaria. Nell'autunno del 1970, esplode il "caso Reggio Calabria", con il relativo disegno di "populismo di massa reazionario" e che, attraverso il sapiente uso che ne farà il Msi di Almirante, tenterà di condizionare il quadro politico nazionale. "Lotta continua", invece, soprattutto per conto di alcuni suoi massimi dirigenti, legge nella rivolta di Reggio Calabria i prodromi di una mobilitazione di massa segnatamente meridionale e segnatamente anti-istituzionale, caratterizzabile secondo incipit proletari. Sempre nel 1970, nella notte tra il 7 e l'8 dicembre, si registra il tentativo di golpe di Borghese. L'anno si chiude cori l'accordo in sede parlamentare sulla legge per il divorzio, il quale vede la Dc in posizione di minorità. Tale è lo scenario in cui avvengono le elezioni del giugno 1971 che, differentemente da quelle del giugno 1970 (per le regioni a statuto ordinario), fanno registrare un forte successo del Msi, a tutto danno della Dc. Andreotti, in un testa a testa televisivo con Almirante, divenuto celebre, parlerà di "voti in libera uscita" che la Dc si proponeva di recuperare con effetto immediato. In casa democristiana viene, allo scopo, rispolverata la teoria degli "opposti estremismi", per ribadire il carattere storicamente necessario della centralità (inamovibile) della Dc. Siffatta teoria era già stata impiegata nel corso del biennio 1969-70, avendo come suoi bersagli l'eversione di destra (da un lato) e le lotte studentesche e operaie che si erano sottratte all'egemonia dei partiti della sinistra tradizionale e del sindacato (dall'altro). La teoria degli "opposti estremismi", è appena il caso di ricordarlo, fu fatta propria dall'intera Sinistra, con qualche rara eccezione; si distinse, in particolar modo, il Pci. Come si sa, essa fu elaborata da De Gasperi per legittimare e rafforzare, contro la Destra e la Sinistra, la "centralità democristiana". L'uso che ne fa ora la Dc si rifà proprio a queste origini degasperiane, contro "l'estremismo di destra" del Msi e "l'estremismo di sinistra" del Pci. Ciò risponde alla strategia andreottiana di recuperare a destra; isolare ed emarginare ulteriormente la posizione del Pci; ridefinire vieppiù la posizione della Dc come centro inattaccabile del sistema politico italiano. Strumentalmente la Dc recupera allo stesso piano "antifascismo" e "anticomunismo", facendo coincidere, come minaccia simbolica, fascismo e comunismo, ridotti genericamente a regimi egualmente totalitari. Ma se l'anticomunismo democristiano non è cosa nuova, aprire, per la Dc, una fase di "lotta" all'estremismo del Msi non fa che avallare, contro gli stessi interessi democristiani, il pericolo fascista del golpe, in cui sono implicati settori e apparati dello Stato assai vicini, se non interni, al "potere de-mocrisiano"36. La strategia del recupero dei "voti in libera uscita", passante per la teoria degli "opposti estremismi", non giova a rendere più rilucente l'immagine della Dc. Anzi, ombre offuscanti salgono attorno alla Dc, proprio per effetto di questo involontario, indesiderato e non calcolato esito politico. Ancora di più emergerà la contrapposizione puramente strumentale che la Dc anima verso il Msi, allorché, alla fine del mandato presidenziale di Saragat, essa fa eleggere (il 24 dicembre 1971) G. Leone quale presidente della repubblica con i voti determinanti del Msi.

Sul fronte più specifico della "sicurezza", il 1971 è un anno assai importante. Nella primavera di quest'anno, infatti, vengono inaugurate le "operazioni setaccio", teorizzate dal nuovo comandante generale dei Carabinieri, Corrado di San Giorgio, l'anno precedente. Esse hanno l'obiettivo precipuo di "setacciare" le grandi aree metropolitane, in funzione antisovversiva e antribrigatista. La strategia definita dall'Arma è quella della "guerra non ortodossa" a sovversivi e brigatisti. Nella prospettiva dell'esecuzione di questa strategia l'Arma viene ristrutturata e potenziata37. La sinistra rivoluzionaria definisce "militarizzazione dello Stato" questo aumento di peso specifico del ruolo e dell'azione dei Carabinieri. Voci critiche isolate si levano anche all'interno della sinistra storica, in quell'area della "sinistra indipendente" che ha come riferimento di discussione pubblica la rivista "L'Astrolabio". Proprio sulle colonne di questa rivista è possibile registrare due significative testimonianze: (i) quella di Ferruccio Parri: "Discorsi di colpi di Stato sono stati captati nelle settimane scorse a certi livelli inferiori dell'Arma dei carabinieri, specialmente a Torino, sicuri, secondo questi discorsi, della facilità e rapidità di successo di un colpo di forza notturno... Si tratta verosimilmente di voci irresponsabili, di discorsi di caserma" (4 aprile 1971); (ii) quella di Luigi Anderlini, il quale a proposito dei Carabinieri ha modo di precisare: "Il minimo che si possa dire è che sono un gruppo di pressione in senso autoritario, un punto di riferimento per quanti hanno in mente la svolta a destra" (26 settembre 1971)38.

Tale è, grosso modo, la scena, allorché le Br proporranno la loro prima "riflessione teorica", alla cui disamina possiamo senz'altro procedere.

Le Br tengono subito a precisare che il loro giudizio sulla fase politica ha una connotazione di sinistra, pur differenziandosi nettamente da tutte le forze sia della sinistra riformista che della sinistra rivoluzionaria39. Nell'analisi delle Br, gli elementi politici che caratterizzano la fase stanno nella dialettica contrapposta tra "prospettiva reazionaria violentemente antioperaia" e "prospettiva di un capovolgimento dei rapporti di produzione". La dinamica politica si coagulerebbe attorno a due fuochi essenziali: (i) il fronte delle forze reazionarie secondo gli assi della prospettiva antioperaia; (ii) il fronte delle forze rivoluzionarie sulla prospettiva del ribaltamento dei rapporti di produzione dominanti. È questo lo scenario entro cui, per le Br, si consuma la crisi tanto del riformismo che della sinistra rivoluzionaria. Il primo emarginato dal "progetto di riorganizzazione della borghesia" e avversario dell'ipotesi rivoluzionaria; la seconda in ritardo rispetto ai compiti rivoluzionari posti all'ordine del giorno. Per le Br, col Sessantotto e la crisi del centrosinistra come forma di governo ha preso cominciamento uno "scontro decisivo" che seleziona, semplifica e contrappone le forze e le ragioni in gioco, comprimendo i margini della mediazione politica tra le forze interborghesi e tra queste e il campo proletario, all'interno del quale lo spazio del riformismo e del rivoluzionarismo mostrano la corda. È in corso, affermano le Br, un "attacco reazionario" di vasta portata. Non prenderne atto, continuano, equivarrebbe a un suicidio politico. Alle Br, particolarmente suicida appare la strategia riformista: emarginata nel campo borghese ed espulsa da quello proletario. Due raggruppamenti politici ostili si organizzerebbero su poli contrapposti. Per le Br, il raggruppamento borghese sarebbe animato e plasmato da un progetto politico tendente a sferrare un attacco (decisivo e senza precedenti) al fronte di classe operaio e proletario, allo scopo di azzerare le conquiste del Sessantotto e dell'autunno caldo. E, dunque, in una certa misura, sarebbero stati proprio il Sessantotto e l'autunno calalo ad aver incubato le ragioni storiche e i passaggi politici di questa inevitabile contrapposizione delle forze in campo. Con nettezza, le Br osservano che "il ciclo iniziato nel '68 non poteva che portare agli attuali livelli di scontro". Il limite di fondo della sinistra rivoluzionaria, esse sostengono, è stato proprio quello di non aver capito questo processo storico e politico, rivelandosi inadeguata ai "livelli di scontro" in atto e sprovvista degli strumenti politico-organiz-zativi necessari, per reggerli e contrastarli. La formazione delle Br, affermano esse medesime, intende dare soluzione a questo limite e assicurare uno sbocco rivoluzionario allo scontro di classe in corso. In proposito, sono estremamente chiare: "La nostra esperienza politica nasce da questa esigenza".

Ma le Br definiscono ancora meglio, sia in termini di teoria politica che di analisi storico-sociale, le cause che presiedono alla massa in crisi nel campo borghese del paradigma e delle strategie del riformismo; crisi che costringe l'intero schiera-mento di classe della borghesia a ricompattarsi e riaggregarsi sul terreno della "reazione politica". Esse parlano, in proposito, di "capovolgimento delle prospettive politiche della borghe-sia"40. Ciò è imputato al mancato incontro tra capitalismo e democrazia; o meglio: a quell'effetto di disgiunzione tra sviluppo della dinamica del molo di produzione capitalistico e sviluppo della dinamica politica del riformismo. Il primo tipo di sviluppo, sostengono le Br, ha contraddetto il secondo. In altri termini: il ciclo economico dello sviluppo avrebbe contraddetto il ciclo politico di sviluppo del riformismo. È il paradigma politico stesso di riformismo che qui salterebbe in aria e Keynes sarebbe condannato a non incontrarsi mai con la dialettica della democrazia politica propriamente detta.

Pur non esplicitando con chiarezza e non andando al fondo di questa problematica politica, le Br non conferiscono alcuna dignità teorica e nessuna incidenza storica al nesso tra Stato sociale e democrazia che, pure, ridisegna il paesaggio sociale e il rapporto tra Stato e cittadinanza politica, istituzioni e mobilitazione collettiva in tutto l'occidente capitalista. Tutti fenomeni, questi, che trovano il loro luogo di nascita allargata già nel secondo dopoguerra. Ricordiamo che già nel 1942 lord Beveridge, col suo famoso "rapporto", stende quello che viene unanimemente ritenuto il "manifesto teorico del Welfare State". La parabola del riformismo italiano viene dalle Br esclusivamente analizzata con valutazioni di tipo tassonomico sull' economia capitalistica e non mai in collegamento con le forme dell'intervento pubblico che, pure, in Italia già dagli anni Cinquanta avevano avuto un rilievo assai consistente. L'attenzione si concentra su una modellistica astratta di "economia del capitale" e non si sposta mai efficacemente sul ruolo politico dello Stato e delle istituzioni, se non come riflesso dei fenomeni che avvengono nella prima. Ne discende non soltanto una lettura economicista dei processi sociali in corso, ma anche un approccio politico essenzialista che dicotomizza oltremodo il campo delle forze in gioco, le dinamiche sottostanti e le risultanze derivanti.

L'essenzialismo politico emerge meglio dal seguente passaggio: la caduta del progetto riformista starebbe nel rifiuto espressogli contro dalla classe operai; circostanza che avrebbe indotto la borghesia a "riorganizzare a destra" l'intero apparato di potere. Ancora di più: l'iniziativa della classe operaia avrebbe posto "all'ordine del giorno la fine dello sfruttamento". A ciò deve aggiungersi l'impossibilità da parte dell'imperialismo, in balia delle sue "oggettive contraddizioni", di "programmare pacificamente lo sviluppo del capitalismo nei singoli paesi". Contraddizioni interne dell'economia capitalistica a livello internazionale e, un attacco politico "esterno" sferratogli dalla classe operaia costringerebbero, secondo questa analisi, la borghesia a passare al contrattacco, per riassumere sovranità e comando nella nuova situazione di straordinarietà venutasi a determinare. Il processo è così definito dalle Br: "La borghesia ha ormai una strada obbligata: ristabilire il controllo della situazione mediante una organizzazione sempre più dispotica del potere". Sono, altresì, indicate le articolazioni principali del progetto: (i) "dispotismo crescente del capitale sul lavoro"; (ii) "militarizzazione progressiva dello Stato e dello scontro di classe"; (iii) "intensificarsi della repressione come fatto strategico". Sarebbero queste articolazioni progettuali in marcia a segnare l'assetto di potere alla cui architettura lavorerebbe la borghesia: "Nella situazione italiana assistiamo infatti alla formazione di un blocco d'ordine reazionario quale alternativa al centro-sinistra"41.

Come si vede, l'economicismo dell'indagine sociale si salda intimamente con l'essenzialismo dell'analisi politica: il secondo è una sorta di gemmazione del primo. Il richiamo alle insanabili contraddizioni interimperialistiche, oltre che legittimare la prospettiva della transizione al comunismo, serve in particolar modo a puntellare una lettura del quadro politico italiano in chiave dicotomica. Da una parte: la riaggregazione interborghese per la "svolta a destra" e la "riorganizzazione dell'apparato di potere", in alternativa all'evaporarsi dell'ipotesi riformista; dall'altra: l'antinomia delle lotte operaie e proletarie fondano l'ipotesi rivoluzionaria, ponendo già all'ordine del giorno la questione dell'alternativa di potere. Dalla crisi del centrosinistra, secondo le Br, la borghesia può uscire riorganizzandosi a destra; mentre le forze rivoluzionarie debbono organizzare l'attualità del rovesciamento dei rapporti di produzione dati. La svolta d'ordine reazionaria, secondo le Br, non sarebbe un progetto tattico, un'operazione politica contingente e temporanea. Piuttosto, saremmo in presenza della tendenza politica di fondo intorno cui si andrebbe ristrutturando la geografia delle forze e degli interessi borghesi. La crisi economica dell'imperialismo, da una parte, e l'alto livello di mobilitazione collettiva, dall'altra, renderebbero vani gli strumenti di mediazione riformistica del conflitto di classe. Ora, dal lato della borghesia, il conflitto di classe sarebbe unicamente governabile con le procedure tipiche di un "blocco d'ordine"; mentre, dal lato della prospettiva rivoluzionaria, appare, sì, condizione necessaria, ma non ancora sufficiente: su di esso occorre far attecchire lo "strumentario" organizzativo e politico-militare necessario e adeguato.

Come sin troppo chiaramente appare, tutto ciò risulta assai semplicistico e schematico, già sul piano della strategia rivoluzionaria. Ma vogliamo adesso individuare uno dei punti deboli centrali dell'essenzialismo politico delle Br. Che la recessione del '63-64 e la mobilitazione del biennio 1968-1969 avessero duramente messo alla prova la tenuta politica e strategica del centrosinistra pare scontato. Che, invece, il "blocco d'ordine reazionario" potesse essere Ia strategia di ricambio del centrosinistra, fino ad attribuirgli dignità di progetto e di tendenza, appare quanto mai azzardato e infondato. Il punto di crisi fondamentale della classe politica di governo (e di opposizione), in quel frangente storico, è quello di essere priva di strategia, sprovvista di un progetto politico di ampio respiro, capace di dipanare i considerevoli e innumerevoli problemi della società italiana. I governi di centrodestra che si susseguiranno tra il 1971 e il 1973 alla guida del paese costituiscono, piuttosto, delle spallate prive di disegno strategico, completamente destituiti di organicità e funzionalità politiche, già sul medio termine. Tant'è che saranno seguiti da riedizioni logore del centrosinistra, a partire dal governo Rumor (Dc-Psi-Psdi-Pri) che si insedia nel giugno del 1973. Addirittura, nell'ultimo scorcio del decennio, al centrosínistra seguirà la "solidarietà nazionale" che fagocita la stessa opposizione comunista nel sistema politico di governo. Ora, è proprio la fase della "solidarietà nazionale" che porta a compimento estremo e coerente quella carenza di disegno strategico e di progettualità che fa annaspare il sistema politico italiano dal '68 in avanti. La tendenza degli anni '70, più che il "blocco d'ordine reazionario", sarà la polarizzazione al centro degli equilibri della classe politica di governo e di opposizione42. Tendenza a cui, come ben si vedrà, non sfuggiranno le stesse Br. Ne consegue che la dinamica politica pronosticata dalle Br sia smentita nella realtà: sia a breve-medio termine, dalla riedizione delle coalizioni del centrosinistra; sia sul medio-lungo periodo, dalla fase della "solidarietà nazionale". La lettura del funzionamento sistema politico e del ruolo politico giocato dal Pci che le Br forniscono risulta completamente falsificata dalla realtà. Il fatto è che alla cultura politica delle Br fa totalmente difetto uno strumentario cognitivo-concettuale all'altezza della complessità e della differenzíazione dei sistemi politici nelle società altamente sviluppate.

La teoria democratica (da Toqueville a Bobbio); l'elitismo democratico (da Pareto, Mosca e Michels fino a Sartori, de Jouvenel, ecc.); la teoria dei "gruppi di interese" (nel suo sdoppiamento funzionale di "pluralismo" e corporatismo"); le teorie del funzionalismo sistemico (da Parsons in avanti); le teorie (prima ricordate) del "pluralismo polarizzato", del "bipartitismo imperfetto", largamente discusse proprio in quegli anni, sono dalle Br bellamente ignorate. Non v'è un confronto politico serrato con i loro teoremi e i relativi corollari; non v'è una critica misurata e oltrepassante elevata contro i loro postulati. V'è un mero riferimento analogico a elementi di teoria politica di derivazione marxiana che, però, erano stati da Marx definiti con riferimento critico alle forme della democrazia borghese; non già ai suoi specifici e storicamente determinati sistemi politici. Non vi può essere coincidenza o assorbimento tra la critica alla democrazia come forma e quella alla democrazia come sistema. Le Br, invece, della forma borghese della democrazia non padroneggiano teoricamente tutti i passaggi storici e concettuali intervenuti dopo Marx e Lenin. Inoltre, il sistema politico come categoria, problema teorico e oggetto empirico di indagine manca, rigorosamente parlando, dal loro laboratorio teorico.

Appare fin troppo evidente che tra il processo di polarizzazione al centro, operante in tutti gli anni Settanta, e la tendenza al "blocco d'ordine" prognosticata dalle Br vi sia una cesura incolmabile. Il fenomeno di centripetazione del sistema politico è dalle Br letto superficialmente, attraverso le teorie antiquate del "blocco d'ordine" e della "reazione politica" che hanno una ascendenza, insieme, gramsciana e leniniana. Non pochi problemi teorici e di analisi storica derivano da questo modello di lettura, soprattutto per quello che concerne la posizione e il ruolo del Pci. Allorché le Br fanno propri e rielaborano i moduli del "blocco d'ordine" e della "reazione politica", collocano il Pci all'esterno di questo schieramento borghese in formazione. Il che consente loro di mantenere aperta la comunicazione con parte rilevante della sua base sociale e della sua cultura di opposizione, per alimentare la prospettiva di un loro recupero sul terreno della lotta armata. La sconfitta del riformismo politico del Pci, nel disegno delle Br, lascerebbe senza rappresentanza adeguata parte rilevante del suo referente sociale che, per questo, si aprirebbe a un rapporto di comunicazione e rappresentazione col discorso proprio della strategia della lotta armata.

Uno dei dati cardine dell'anomalia italiana e della peculiare evoluzione descritta (con Togliatti) dal Pci dalle Br non viene nemmeno lontanarnente colto. Intanto, l'esternità del Pci al sistema politico italiano, a partire dalla conventio ad excluden-dum del 1947, non è mai stata priva di implicazione e riflessi per lo stesso sistema politico e la sua genetica interna. Nel senso che ha contribuito a stabilizzarlo dall'estemo. Sistema senza alternanza democratica e alternativa senza sovranità democratica (polarizzati rispettivamente su Dc e sul Pci) hanno finito per compensare gli squilibri e le disfunzioni della democrazia italiana; al punto da costituire un inedito e complicato problema di teoria politica43. In secondo luogo, il "Partito nuovo" di Togliatti, già dalla "svolta di Salerno" del 1944, definisce l'orizzonte di campo socialista in stretta colleganza con il destino della parabola della democrazia politica: le teoriche della "via democratica al socialismo", della "democrazia progressiva" e delle "riforme di struttura" testimoniano il particolare e intenso tipo di occidentalizzazione cui il Pci di Togliatti si sottopone44. Quello che non può sfuggire — e alle Br sfugge — è il meccanismo di compartecipazione politica del Pci alle sorti della democrazia italiana, talmente pronunciato da trovare una recezione formale prima nel "processo costituente" e dopo nella Costituzione repubblicana. È già qui che si disegnano gli scenari di quella "democrazia consociativa" che, sul finire degli anni Settanta, diviene addirittura formula di govemo. C'è un filo rosso, per quanto percorso da non irrilevanti fratture, che va dall'esperienza tripartito del 1944-47 alla solidarietà nazionale del 1976-79: il carattere dimezzato e, allo stesso tempo, consociativo della democrazia italiana. Ciò ha fatto sì che chi ha governato non ha mai potuto veramente governare contro il Pci, il cui ruolo istituzionale e costituzionale non è venuto mai meno. D'altra parte, il Pci all'opposizione, pur non essendo mai stato neutralizzato totalmente, non ha mai potuto incidere profondamente (e, in parte, mai l'ha voluto fino in fondo) nei luoghi più delicati e nevralgici della decisione politica. Prefigurare, pertanto, una rottura più o meno insanabile e tatticamente manovrabile, a vantaggio della lotta armata, tra sistema politico e Pci non corrisponde affatto al quadro complesso della realtà italiana. È il frutto di una illusione ottica fa precipitare le Br in questo equivoco.

Evolvendo con maggiore chiarezza la situazione politica degli anni Settanta, le Br, con un capovolgimento di 180 gradi della loro iniziale posizione, rovesciano i termini della loro analisi sul Pci, senza per questo rivisitare criticamente la loro vecchia concezione. La fase del "compromesso storico" e della "solidarietà nazionale" costringe le Br a rivedere le loro analisi politiche, a partire dal 1976 in avanti. Ma così come non avevano avuto la capacità di comprendere le "cause prime" dei processi politici della società italiana, non ne afferrano l'evoluzione e gli approdi ultimi. Nella fase aurorale della loro teoria politica non afferrano i meccanismi della democrazia consociativa. Specularmente, verso il terminale degli anni Settanta, non riconoscono al Pci alcuna autonomia dai ceti dominanti e lo ritengono completamente asservito alle trame e alle manovre di potere della "borghesia imperialista", di cui la Dc è ritenuta il centro di gravitazione45. Il vizio di origine dell'analisi, conservandosi, fa in modo che le posizioni politiche subiscano un mero ribaltamento nominale degli assunti originari; i quali, rimanendo inindagati nei loro presupposti e nella loro trama concettuale, restano perversamente operanti. In ogni caso, l'analisi del sistema politico italiano e del ruolo del Pci si rivela completamente errata: motivata da necessità ideologiche, più che da una serrata e cogente rillessione storica e teorica. È appena il caso di ricordare che E. Berlinguer, da pochi mesi segretario del partito, definisce già sul finire del 1972 la nuova strategia del Pci nei termini della "svolta democratica", secondo la "prospettiva dell'incontro delle tre grandi forze della nostra tradizione e della nostra realtà storica e politica — la comunista, la socialista e la cattolica. Guai ad abbandonare questa prospettiva, perché altrimenti si elude il nodo centrale, il problema vero di tutta la situazione politica italiana: la necessità di un rapporto nuovo di tutte le forze democratiche (comprese quelle intermedie, d'ispirazione Usa, che sappiano liberarsi dalla pregiudiziale anticomunista) con la grande, decisiva forza democratica e rivoluzionaria rappresentata dal nostro partito"46. Già in questa fase, nel Pci, sono in gestazione e in fermento rapido gli assi cartesiani della strategia del "compromesso storico". Le Br, ancora nell'Autointervista del gennaio del 1973, si limiteranno a dare del Pci la generica definizione di "grande forza democratica che persegue con coerenza una strategia esattamente opposta alla nostra"47. È sorprendente quanto inesatto, a dir poco, tentare di categorizzare la strategia del "compromesso storico" quale "esattamente opposta" a quella della lotta armata. La stessa lotta armata è (stata) qualche cosa di più articolato e com-plesso di una pura e semplice "concorrenzialità strategica" con le posizioni del Pci.

Sempre all'essenzialismo politico è imputabile il giudizio di fase che le Br formulano: "Lo scontro armato è già iniziato e mira a liquidare la capacità di resistenza della classe operaia"48. Strategia della tensione, strage di P.zza Fontana, licenziamenti e schedature di massa, repressione in fabbrica e nella società, ricorso massiccio alle "forze dell'ordine" e alle "squadracce fasciste" indicano, per le Br, che la borghesia si è, ormai, collocata stabilmente sul terreno della lotta armata. Sull'argomento esse sono lapidariamente chiare: "La lotta armata è già cominciata. Purtroppo in modo univoco, cioè è la borghesia che colpisce. Il problema è dunque quello di creare lo strumento di classe capace di affrontare allo stesso livello lo scontro di classe. Le Brigate rosse sono i primi sedimenti del processo di trasformazione delle avanguardie politiche di classe in avanguardie politiche armate, i primi passaggi pratici nella direzione di questa costruzione"49. Tale trasformazione è ricompresa in una strategia che non intende più dividere e distinguere in due fasi ("preparazione politica, agitazione e propaganda prima, insurrezione armata dopo") il processo rivoluzionario50. Piuttosto, concepire quest'ultimo, fin dal principio, come processo globale, in cui il politico e il militare siano strettamente interconnessi: "Di questo hanno tenuto conto le organizzazioni armate metropolitane le quali sin dall'inizio si sono costruite per far fronte globalmente a tutti i livelli dello scontro"51.

La tradizione rivoluzionaria che le Br pongono esplicitamente in questione è quella collegata "all'esperienza storica del movimento operaio secondo le versioni anarcosindacaliste e terzintenernazionaliste"; viceversa, per esse, si tratta di con-giungersi "all'esperienza metropolitana dell'epoca attuale"52. Significativo è il fatto che esse riconducano l'esperienza della sinistra extraparlamentare alle posizioni anarcosindacliste e terzinternazionaliste53. Ciò detto, rimane, per le Br, il problema di passare dalla "fase della tattica necessaria alla fase strategica della lotta armata"54. Secondo le Br, stabilizzare la strategia e la proposta della lotta armata deve significare ottemperare a due condizioni fondamentali: (i) "misurarsi con il potere a tutti i livelli (liberare i detenuti politici, eseguire condanne a morte contro poliziotti assassini, espropriare i capitalisti ecc.) e naturalmente dimostrare di saper sopravvivere a questi livelli di scontro"; (ii) "far nascere un potere alternativo nelle fabbriche e nei quartieri"55. Qui la prospettiva ricompositiva del modello di rivoluzione elaborato dalle Br viene palesemente alla luce: " ... la rivoluzione non è solo un fatto tecnico-militare, e l'avanguardia armata non è il braccio armato di un movimento di massa disarmato, ma il suo punto di unificazione più alto, la sua richiesta di potere"56. È chiaro che, per le Br, lo scontro di potere all'interno del quale esse intendono collocarsi e organizzare crescenti masse operaie e proletarie "non si concluderà con un ritorno alla situazione precedente ma costituirà la premessa per lo scontro strategico: per la lotta armata per il potere"57.

Cosa di particolare fa pendere l'analisi delle Br verso la mistica della lotta armata? La risposta va ricercata, andando al di là delle categorie di superficie che le Br impiegano, scavando nel sostrato concettuale che connota il sistema cognitivo sul quale edificano il loro concetto di 'politico'58.

Così come hanno fatto Snow e Benford, elaborando i loro "schemi interpretativi dominanti", in ordine alla lettura dei "cicli di protesta"59, assumiamo che un'organizzazione comunista combattente (nella specie: le Br) sia portatrice delle funzioni di: (i) agente significante e (ii) agente interpretante, divenendo (iii) parte attiva nella produzione di significati e idee. Questa assunzione analogica ci pare legittima, essendo indubbio che le Br siano state agente significante e interpretante, attive nella produzione di significati e idee. A dire il vero, qualunque attore o soggetto sociale, la cui azione abbia un'incidenza pubblica, è titolare di queste prerogative. Si tratta di vedere, nel concreto, come tutto questo si è espresso nel caso specifico delle Br.

Il quadro politico e teorico definito dalle Br perviene a una concettualizzazione bipolare del 'politico'. Entro questa concettualizzazione, il 'politico' appare come un gioco strategico e un gioco linguistico aventi un dicotomico ed essenziale impiego: o leva della stabilizzazione borghese-capitalistica; oppure baricentro del rovesciamento dei rapporti di produzione dati, fino alle corrispettive sovrastrutture giuridico-politiche. Qui è l'impiego che se ne fa che definisce la natura del 'politico'. Un impiego legittimo del 'politico' sarebbe quello finalizzato alla rivoluzione, in vista dell'edificazione del comunismo. Il gioco strategico del 'politico' intenzionerebbe il gioco línguistico del potere attivante il comunismo. La significazione/interpretazio-ne politica è, in questo modello, trasparentemente finalizzata alla pianificazione di significati/eventi comunisti. Essere agenti del potere rivoluzionario vuole dire, in questo caso, che è possibile e necessario significare il comunismo immediata-mente, senza alcuna mediazione linguistica e senza nessuna fase storica intermedia. Praxis del 'politico' e poiesis del potere, in questa architettura bipolare, si intrecciano. Secondo questa concezione, solo frammentariamente formalizzata dalle Br e nondimeno pienamente operante, la struttura interna del 'politico' non sarebbe percorsa da stratificazioni differenziatrici e avrebbe un segno/disegno e un senso chiaramente ed esclusivamente di parte. 'Politico' borghese, a un lato; 'politico' rivoluzionario al lato opposto, ecco la polarizzazione brigatista del 'politico'. La struttura del 'politico' non sarebbe di tipo duale (come minimo) e nemmeno polifunzionale (come massimo). Piuttosto, si caratterizzerebbe per il fatto di espellere dualismi e contraddizioni dal suo interno, per dislocarli esclusivamente al suo esterno. Se è l'impiego del 'politico' che ne designa la natura, nel caso delle Br, è l'ideologia che definisce natura e struttura del 'politico', sovradeterminandola dal suo esterno. Esattamente al contrario di quanto numerose critiche hanno loro imputato, quello integrato dalle Br non è un caso di accesa autonomia del 'politico', bensì di totale sussunzione del 'politico' all'economicismo dell'analisi sociale e allo sfrenato ideologismo delle dimensioni teoriche e culturali. Dunque: eteronomia del 'politico'; altro che autonomia! L'economícismo e l'ideologia qui estirpano le fratture dei significanti/interpretanti dal 'politico' e le fissano e irrigidiscono nella prassi politica. Le regioni del 'politico' appaiono compatte e contrapposte; quelle della prassi politica, invece, continuamente mosse e rideterminate da schieramenti e processi mutevoli. Il rapporto 'politico'/ ideologia pende tutto a favore della seconda, dalla quale il primo è come rimosso e snaturato. Alla concezione essenzialistica e bipolare che del 'politico' forniscono le Br sfugge, p. es., che il 'politico' funge anche come mediazione interna a un progetto, sorretto da un discorso, orientato a una pluralità di fini e azionante una pluralità di mezzi. Tanto per schematizzare uno dei significanti propri alla polisemia del 'politico'. È il concetto polisemico, ma non indifferenziato e indeterminato, del 'politico', con le sue venature di senso interne, che non rientra nelle categorie previste dall'ideologia brigatista.

Le Br, in forza della loro caratterizzazione ideologica, ritengono che le loro analisi politiche trovino puntuale conferma nell'evoluzione della situazione politica italiana di quegli anni. Sotto quest'ultimo riguardo, si deve ricordare che subito dopo l'elezione di Leone si sviluppa il tentativo di un governo di centrodestra, pur in assenza della corrispondente maggioranza parlamentare. Viene, conseguentemente, formato un monocolore Dc, in presenza del quale Leone si avvia a sciogliere anticipatamente le camere. La Dc si trova a guidare tutte le leve del potere nella campagna elettorale che di lì a poco inizia e nel corso della quale sposa la strategia fanfaniana dell' "Avanti al centro!". In questa fase, le Br aprono la loro offensiva contro il "fascismo in camicia bianca", sequestrando l'ingegnere Idalgo Macchiarini (dirigente della Sit Siemens), il 3 marzo 1972. In opposizione al tentativo della Dc di riproporsi con forza come componente egemonica dello schieramento politico, si accende un clima di grande conflittualità politica e sociale. Il Msi è, allo stesso tempo, alleato della Dc e partito a cui la Dc intende sottrarre quel consenso "di massa" che le aveva carpito nelle elezioni del 1971. La sinistra rivoluzionaria e le Br ritengono il Msi un supporto della strategia politico-istituzionale della Dc ed entrambi i partiti alleati in una politica di dura repressione delle lotte sociali. In tale atmosfera matura la dimostrazione dell'11 marzo 1972 a Milano, in larga parte egemonizzata da "Potere operaio" e "Lotta continua", che si conclude con violenti scontri e un assalto alla sede del "Corriere della sera" di Via Solferino. Ma non soltanto la sinistra rivoluzionaria e le Br classificano la strategia della Dc (e, in particolare, di Fanfani) come "neogollismo"; valutazioni analoghe sono fornite anche dalla sinistra storica. Alcune forze della sinistra rivoluzionaria conieranno un'espressione che in quegli anni sarà molto celebre: "fanfascismo". Soltanto quattro giorni dopo la manifestazione di Milano, il 15 marzo 1972, muore G. G. Feltrinelli, restando dilaniato sul traliccio di Segrate. Tra aprile e inizio di maggio, scatta l'offensiva degli apparati di sicurezza che costringerà le Br all'assoluta clandestinità, essendone rimasti intaccati quasi completamente le strutture e gli effettivi. Questo il quadro in cui avvengono le elezioni del 7 maggio 1972. Le quali elezioni danno la Dc al 38,8% e contengono il Msi all'8,7%; mentre la sinistra rivoluzionaria conosce il clamoroso insuccesso dello 0,9% (sommando lo 0,7% del "Manifesto" allo 0,2% dei marxisti-leninisti). Il Psiup, pur ottenendo l'1,9%, non raggiunge ìl quorum e di lì a poco si scioglierà. Pci e Psi, insieme, confermano il 37%, con un riequilibrio del 4% a favore del Pci. Dc e partiti di centro (Psdi, Pri, Pli), sia pur lievemente, superano il tetto del 50%; il che consente ad Andreottí di varare un governo avente una maggioranza parlamentare, per quanto risicata. Con Tanassi více presidente del Consiglio e Malagodi al ministero del Tesoro si forma un governo di "stabilizzazione politica", all'insegna di un ""neocentrismo" che potrebbe ristabilire "legge e ordine" mentre il partito armato sembra sconfitto"60.

La campagna delle Br contro il fascismo continua con il sequestro di 4 ore di Bruno Labate (segretario provinciale della Cisnal), avvenuto ìì mattino del 12 febbraio 1973. Il cartello che reca al collo Labate, rapato e legato all'ingresso della Fiat Mirafiori, collega l'azione al fatto che la Cisnal "è uno pseudo-sindacato fascista che i padroni mantengono nelle nostre fabbriche per dividere la classe operaia, per organizzare il crumiraggio, per infiltrare ogni genere di spie nei reparti"; mentre l'indicazione strategica è: "Guerra al fascismo dì Andreotti e Almirante! Lotta armata per il comunismo!"61. In verità, già in questa fase la Dc comincia a discutere seriamente al suo interno intorno alla necessità di recuperare il Psi alla coalizione di governo62. Il fenomeno è assai chiaro nei suoi risvolti economico-politici. Ecco come lo ricostruisce acutamente G. Galli: "Il governo Andreotti ha deciso di far uscire la lira dal serpente monetario europeo, lasciandola fluttuare (9-12 febbraio 1973), il che ne provoca una sostanziale svalutazione nella quale si innestano manovre speculative mentre si avvia un processo inflazionistico, destinato a suscitare reazioni negative soprattutto tra i lavoratori a reddito fisso. È per contenere queste reazioni che la Dc vuole allontanare i liberali dal governo e far rientrare i socialisti in un nuovo centro-sinistra. Esso viene concordato nel congresso del 6-10 giugno 1973, che porta Fanfani alla Segreteria del partito in sostituzione di Forlani, mentre Andreotti si dimette per lasciare il posto a Rumor che guida una coalizione Dc-Psi-Psdi-Pri caratterizzata da una "troika" ai ministeri economici (il dc Colombro alle Finanze, il repubblicano La Malfa al Tesoro, il socialista Giolitti al Bilancio)"63. Del resto, la strategia del recupero del Psi ha battesimi e antesignani illustri: l'intervista rilasciata da Agnelli all'"Espresso" verso la fine del 1972. Ecco come Soccorso Rosso, nel libro sulle Br più volte citato, riassume l'episodio: "Agnelli rilascia a "L'Espresso" la famosa intervista del profitto zero, nella quale viene trasparentemente disegnata un'alleanza di largo respiro tra le forze produttive (individuate nei padroni e nei sindacati) contro le rendite parassitarie. È in pratica un segnale: Agnelli scarica Andreotti e dà inizio al flirt con Amendola, che vedrà nel convegno del Mulino (13 aprile 1973) il punto di massimo sviluppo"64. È il periodo durante il quale il Pci elabora le strategie della "alleanza tra produttori" contro la "rendita parassitaria", del "nuovo modo di fare l'automobile", ecc. Questa nuova fase di relazioni politiche e industriali culminerà nel 1975 con l'accordo interconfederale sul punto unico di contingenza, con Agnelli presidente della Confindustria; fase che avrà, altresì, modo di sperimentarsi concretamente proprio a Torino nel confronto costante tra la "giunta rossa" di Novelli e la Fiat, a partire dall'avanzata elettorale del Pci del 1975.

Nell'Autointervista del gennaio 1973 l'insieme di questi processi e le logiche sottostanti non vengono politicamente presi in considerazione: le Br rimangono acriticamente fedeli alle valutazioni espresse nell'Autointervista del settembre 1971. Osserva giustamente G. Galli: "Nel documento delle Br vi è dunque lo stesso errore che deriva dalla tradizione culturale degli anni Trenta: la borghesia oscilla tra riformismo e fascismo, ma alla fine sceglie quest'ultimo per l'impossibilità di contenere col primo le rivendicazioni operaie"65. Ma v'è un ulteriore punto di continuità che l'Autointervista del 1973 ribadisce e che era già stato espresso da "Sinistra proletaria" nel n°0 (Iuglio 1970) e nel n° I/2 (settembre 1970); nei due numeri di "Nuova resistenza" e nella stessa Autointervista di due anni prima. Ed è questo: la convinzione espressa dalle Br di essere lo sbocco del ciclo di lotte sociali del Sessantotto e dell'autunno caldo. Secondo le Br, le ragioni fondative e insediative della lotta armata costituiscono il punto di arrivo e di rilancio del ciclo di lotte del Sessantotto e dell'autunno caldo; pena il loro ripiegamento autodissolutorio. Il legame tra lotte sociali e mobilitazione collettiva, da un lato, e lotta armata, dall' altro, viene dalle Br letto e postulato nei termini di una escatologia politica grazie alla quale le prime passano nella seconda, "oltrepassando" la loro vecchia soglia semantica e la loro vecchia struttura genetica. Secondo l'escatologia delle Br, la lotta armata sarebbe il prodotto coerente e più alto delle lotte sociali degli anni Sessanta e degli inizi dei Settanta: il passaggio necessario verso una nuova e necessaria dimensione dello scontro di classe; l'"oltrepassamento" dei limiti ereditati dalla tradizione rivoluzionaria e dell'angustia da cui gli stessi movimenti sociali e i gruppi della sinistra rivoluzionaria non riuscivano, ormai, più a liberarsi. Abbiamo esaminato partìtamente questo fenomeno nelle pagine che precedono. Assai sintomatico è che questo approccio, con i suoi teoremi e corollari, sia tra le continuità più tenacemente sopravvissute nella riflessione critica e autocritica inaugurata in campo brigatista nel marzo del 1987, dalla celebre lettera di Bertolazzi, Curcio, lannelli e Moretti. Si tratta del documento che ha formalmente aperto la "battaglia di libertà", a cui nell'estate del 1987 hanno aderito con relativi documenti Barbara Balzeraní, L. Novelli, Marina Petrella e numerosi altri, raccogliendo quasi la totalità dei militanti delle Br che, sino a quel momento, non avevano espresso pubblicamente la loro posizione, tanto da essere definiti, piuttosto imprecisamente e rozzamente, "area del silenzio"66. Sicuramente, la riflessione storica in termini di "oltrepassamento" e di "sbocco" delle lotte sociali degli anni Sessanta e Settanta, proponente una corrispondente "soluzione politica", all'ínterno di una riclassificazione del rapporto tra sanzìone e conílitto67, costituisce una presa dì posizione largamente positiva, meritevole di grande attenzione. Ciò che in questa riflessione appare meno convincente è il perdurante atteggiamento, operante pur in costanza dell'esaurimento dell' esperienza storica della lotta armata, che considera le Br e la loro nascita come l'espressione più matura e originale del ciclo aperto dal Sessantotto e dall'autunno caldo. L'ideologia, la cultura e i modelli politici propri delle Br dovevano essere così radicati in profondità, se condizionano ancor oggi le scelte, le condotte, le analisi e le proposte di tanta parte del loro "nucleo storico" e dei loro militanti.

Basterebbe soltanto la sopravvivenza vischiosa di questa invariante concettuale a consigliare di scavare nella struttura riposta delle culture politiche e dell'ideologia delle Br. Utili osservazioni sono state, sull'argomento, proposte da Rossana Rossanda in due importanti interventi. Il primo consiste in un articolo interno ad un dibattito avente per tema "l'uscita dall'emergenza"68; il secondo è scritto, quasi a caldo, a " commento dei commenti" all'intervista televisiva di Barbara Balzerani, R. Curcio e M. Moretti del 21 marzo 198869.

Cominciamo col considerare il primo articolo.

Per la Rossanda, con l'operazione Moro si crea attorno alle Br un "vuoto", nel senso che i movimenti sociali più radicali, pur non parteggiando con lo Stato, disconoscono definitivamente alle Br ogni sia pur minima legittimità. Osserva la Rossanda: "Questo vuoto fu fondamentale nelle crisi delle organizzazioni combattenti, come si definivano, e per la loro "cultura". Occorre conoscerla, scrive Pasquino, e aggiunge: era una teoria, un progetto ... Proviamo a vederne lo schema. Esse partono da una triplice analisi: primo, in Italia non esistono più partiti e sindacati determinati a una trasformazione politico-sociale di fondo, a modificare radicalmente i rapporti di classe e le funzioni dello Stato; secondo, questo si verifca mentre è in corso un'internazionalizzazione e un compattamento dei pro-cessi di "comando" capitalistici, sia sotto il profilo economico (multinazionali) sia sotto quello militare (riarmo); terzo, questo processo è guidato da un disegno univoco e determinato, espresso dallo "Stato multinazionale", del quale il nostro è solo un tassello. Di qui la linea: colpire lo Stato"70. Ancora: "Questa — ha ragione Pasquino — non è cultura di marginali; sono cascami di una vecchia cultura, ricomposti e ristrutturati nel presente"71. I movimenti — continua la Rossanda — dell'impianto politico delle Br condividono soltanto la sfiducia totale nel sistema dei partiti e nel sindacato. Ma anche questa condivisione ha forme di espressione tutte particolari: " ... perché un conto è lo Stato delle multinazionali, un conto è la società bloccata di Offe e un conto è la critica femminista globale al sistema dei poteri. Comune — ma è il punto chiave per qualsiasi ricerca — è la sfiducia nelle istituzioni politiche quali che siano, come rappresentanti dei propri bisogni di trasformazione"72. Una trasformazione, dunque, posta virtualmente: compressa dalle istituzioni; non adeguatamente compresa dall'opposizione sociale e politica; pervertita dalla lotta armata. Osserva la Rossanda: "È assai grave che alla critica della "cultura" del terrorismo, che immeschiniva in un progetto povero e sanguinoso le grandi domande del decennio, non sia stata opposta una cultura rivoluzionaria, o forse anche solo potentemente rinnovatrice, a livello della loro radicalità... Certo è che si è lasciato un varco enorme all'irruzione del moderatismo, che lavora sulla caduta delle speranze, sul dubbio che quel che era stato operato, non da un gruppo di violenti ma dalle masse che fecero la storia di questo paese, fosse utopico e illecito"73.

E passiamo al secondo articolo.

La Rossanda individua con precisione la costante culturale, profonda e vischiosa, che gran parte del quadro di direzione delle Br si trascina dalle remote origini del 1969-70 fino all'attualità della "battaglia di libertà". Ella rileva: "Non mi ha neanche stupito il punto politico di fondo dal quale da sempre dissento e che è stato difeso nella trasmissione: il dirsi sbocco, frutto del "movimento". Forse è difficile per loro come per gli altri detenuti pensare, più che alla fine delle Brigate Rosse, all'idea di un loro sostanziale errore da essersi trovate fuori e non dentro una grande ondata, più grande di loro e fluita oltre loro e defluita anche per responsabilità loro"74. Ma è proprio l'errore delle Brigate rosse che, ancor più, mette in luce la consistenza dei conflitti sociali degli anni Sessanta e Settanta. Afferma la Rossanda: "Penso che l'Italia traversò un conflitto alto, di grandi opzioni e alternative. Che l'errore delle Brigate Rosse e dei gruppi armati fu di pensare che quel conflitto portasse e potesse avere una qualunque soluzione nelle armi, come nella storia altre volte è avvenuto. Eppure lo si vide subito quell'ondata non era dietro di loro"75. Un'ulteriore osservazione coglie nel segno: "Ai perché ci è capitato di rispondere, nel corso degli stessi anni di piombo, quando si parlava più liberamente di adesso (ad esempio nei convegni di MD) che l'origine di quella corsa alle armi stava nell'idea errata di una fascistizzazione crescente dopo il golpe cileno e dell'insopportabilità di veder isolato un movimento operaio e non, di grande ampiezza, di fronte al compattarsi del Pci nel governo di unità nazionale dopo la crisi del 1974"76. E infine: "E, differentemente da quanto ha detto Curcio, non cessò prima il movi-mento e poi la lotta armata: i gruppi armati continuarono dopo Moro per il meccanismo di non ritorno che quella scelta implica, e toccarono i loro punti più bassi, per esempio, nella scelta dei bersagli "riformisti", segno manifesto di debolezza del discorso sullo Stato"77.

Ebbene, tutto questo lo si reperisce già scritto, quantomeno nei lineamenti principali, nelle "tavole di fondazione" che le Br che trovano modo di assestare nella elaborazione teorica intercorrente dal 1971 al 1974. L'assestamento teorico lo si può ritenere ultimato nel 1974, con l'opuscolo Contro il neogollismo portare l'attacco al cuore dello Stato. Sarebbe molto interessante comparare lo stato nascente della teoria politica delle Br con i comportamenti, il clima, il quadro relazionale e gli stili di vita entro cui le Br nascono e vivono78. Ma questo non rientra nell'oggetto di indagine del presente lavoro. Accingiamoci, quindi, alla disamina dell'Autointervista del 1973.

Innanzitutto, le Br confermano i loro giudizi sulla situazione politica italiana: sconfitta del riformismo, svolta reazionaria, riorganizzazione degli apparati di potere, attacco antioperaio, ecc.79. Per le Br, la "controrivoluzione è in atto" e occorre opporsi alla "liquidazione delle spinte rivoluzionarie tentata dagli opportunisti e dai riformisti"80. È la "resistenza" alla controrivoluzione, è la chiamata a raccolta delle forze rivoluzionarie a impedire, sostengono le Br, che la loro strategia possa essere qualificata come terrorismo81.

Successivamente, le Br, criticando le tendenze "militarista" e "gruppista", passeranno a meglio inquadrare il campo della loro azione e della loro strategia: "Noi crediamo che l'azione armata sia solo il momento culminante di un vasto lavoro politico attraverso il quale si organizza l'avanguardia proletaria, il movimento di resistenza, in modo diretto rispetto ai suoi bisogni reali e immediati. In altri termini per le Brigate Rosse l'azione armata è il punto più alto di un profondo lavoro di classe: è la sua prospettiva di potere. Proprio per questo siamo convinti che per andare avanti sulla strada della lotta armata è ormai necessario svolgere un lavoro di unificazione politica di tutte le avanguardie politico-militari che si muovono nella stessa prospettiva"82. Con la precisa contestazione ed esclusione dei gruppi della sinistra extraparlamentare da tale prospettiva: "I gruppi sono realtà del passato, sopravvivenza inadeguate allo sviluppo ulteriore del processo rivoluzionario. L'unità che noi intendiamo costruire è quella di tutte le forze che si muovono nella prospettiva della lotta armata per il comunismo"83. Segue un'analisi delle tendenze fondamentali presenti nella sinistra non riformista: quella "Iiquidazionista", quella "centrista" e quella della "resistenza che non dà affatto per avvenuta la sconfitta della classe operaía"84.

Fin qui niente di sostanzialmente nuovo si coglie nella riflessione proposta dall'Autointervista. La prima novità interviene proprio a questo punto, con un'apertura a tutto tondo del discorso sul Sud85. Per ovvi motivi, non è qui possibile sviscerare una critica articolata al meridionalismo delle Br. Tuttavia, si rendono necessarie scarne precisazioni86. Per le Br, il fallimento della strategia riformista distorce temporaneamente la mobilitazione degli strati popolari del Sud, subor-dinandoli alla "egemonia della borghesia fascista". Stante questa egemonia, si aprirebbe una forbice tra le potenzialità e le lotte del Nord (proletario e rivoluzionario) e la "rabbia" del Sud canalizzata verso obiettivi non rivoluzionari. Ritorna, così, il mitico e tradizionale modello delle "due Italie": il Nord sviluppato e virtualmente rivoluzionario e il Sud sottosviluppato, interamente da recuperare alla strategia del processo rivoluzionario; compito dalle Br assegnato alle "forze operaie d'avanguardia del Nord". Ciò renderebbe possibile disinnescare il disegno borghese teso a riverberare azione e potere della borghesia meridionale contro la classe operaia del Nord, che per le Br, costituisce una sorta di "motore immobile" della rivoluzione in Italia. La semplificazione dell'analisi sconcerta. Possiamo ben dire che il Sud rappresenta uno dei punti cruciali in cui meglio e cornpattamente l'economicismo e l'essenzialismo politico delle Br emergono in superficie e si danno una cornice teorica. Vieti luoghi comuni, che avevano fatto la fortuna del "corporativismo operaio" di Turati e che erano già stati confutati da Salvemini, vengono sorprendentemente rispolverati.

L'assialità politica del discorso è addirittura più arretrata a confronto della posizione gramsciana, secondo cui al primato della classe operaia del Nord deve, perlomeno, abbinarsi l'obiettivo strategico della "rivoluzione agraria"; il che sposta i termini del discorso politico oltre una prospettiva rigidamente e ottusamente operaista. Attraverso il "controllo sociale" assicurato dal "meridionalismo delle clientele fasciste", lo Stato, sostengono le Br, organizza il carattere "eversivo antioperaio" delle spinte popolari del Sud. Il cemento politico-ideologico per l'alleanza Nord/Sud starebbe, per le Br, nella "lotta contro i fascisti, le borghesie locali, gli organi repressivi dello Stato". Manca del tutto, come si vede, una lettura che tenti di decifrare la collocazione del Meridione all'interno dei moduli di sviluppo del capitalismo, assumendo consapevolezza dell'impossibilità di integrarlo, già sul piano teorico, nei modelli dell'espansionismo industriale. Non è alla portata delle Br, della loro ideologia e della loro cultura fondamentalista, inquadrare correttamente e precipuamente il Meridione: (i) come interno allo sviluppo capitalistico e (ii) come sua alterità, al di là delle controtendenze reazionarie, differentemente da quanto recitato da vieti enunciati di marca positivista. Si tratta, a proposito del Meridione (come, più in generale, per quanto attiene alle cosiddette "zone del sottosviluppo"), dell'evocazione sul piano storico-culturale di un altro tipo di rapporto tra tradizione e modernità, non interamente schiacciato sulla società industriale, sulle sue culture e sul suo immaginario collettivo. Del resto, questo è un vizio di fondo che ha caratterizzato da sempre il rapporto della Sinistra col Meridione; tanto più è operante nel caso delle Br, le quali trasferiscono al Sud i loro modelli teorico-politici rigidamente industrialisti, operaisti e statalisti.

L'altra novità di rilievo che emerge nell'Autointervista del 1973 è una più capillare distinzione concettuale tra "lavoro clandestino" e "lavoro di massa": "Ci sono due tipi di attività che stiamo portando avanti di pari passo con continuità e decisione: il lavoro di organizzazione clandestina e il lavoro di organizzazione delle masse. Per lavoro clandestino intendiamo il consolidamento di una base materiale economica, militare e Iogistica che garantisca una piena autonomia alla nostra organizzazione e costituisca un retroterra strategico al lavoro "tra le masse". Per lavoro di organizzazione delle masse intendiamo la costruzione nelle fabbriche e nei quartieri popolari delle articolazioni dello Stato proletario: uno Stato armato che si prepara alla guerra"87. L'intreccio tra queste due dimensioni deve avviare a soluzione il problema politico principale: "Il problema che dobbiamo risolvere è quello di far assumere alle spinte rivoluzionarie che vengono dal movimento di resistenza una dimensione di potere. Si richiede per questo uno sviluppo organizzativo a livello di classe che sappia rispettare i livelli di coscienza che lì operano, ma sappiano allo stesso tempo unificarli e farli evolvere nella prospettiva strategica della lotta armata per il comunismo. Le Brigate Rosse sono i primi nuclei di guerriglia che operano in questa direzione. Per questo intorno ad esse vanno organizzandosi i militanti comunisti che pensano alla costituzione del partito armato del proletariato"88. Necessario è, dunque, muoversi su "tempi lunghi", lavorando alla "creazione delle premesse di coscienza e di organizzazione della guerra"; tutto dovrebbe partire dallo scioglimento del seguente nodo irrisolto: "il movimento di resistenza popolare si caratterizza per una generale volontà di scontro con la borghesia e per l'altrettanto generale incapacità di praticarlo con efficacia sui terreni imposti. Il nostro intervento va nel senso di risolvere questa contraddizione"89.

Lungo il filo disegnato da questa strategia, gli obiettivi che restano da impostare, organizzare e perseguire sono tre: (i) "guerra al fascismo"; (ii) "resistenza nelle fabbriche"; (iii) "resistenza alla militarizzazione del regime"90. Il quadro è completato con l'accento posto sull'esigenza di uno sviluppo delle strategie rivoluzionarie a livello continentale: "Il conseguimento di una dimensione europea e mediterranea dell'iniziativa rivoluzionaria è un obiettivo importantissimo. Esso ci è imposto dalle strutture sovranazionali del capitale e del potere. Lavorare per la sua maturazione vuol dire soprattutto sviluppare la guerra di classe nel proprio paese, ma anche essere pronti a sostenere quelle iniziative concrete di appoggio o di lotta richieste dal movimento rivoluzionario e comunista internazionale"91.

Giova riportare il commento di G. Galli all'Autointervista del 1973: "In sintesi, dunque, i tre punti rilevanti del documento del gennaio 1973 (previsione di una svolta autoritaria, posizione di attesa nei confronti dei militanti del Pci, definizione del ruolo della lotta armata) mettono in luce che ci troviamo di fronte a un gruppo che commette errori di valutazione propri alla tradizione marxista (la borghesia sempre pronta al colpo di Stato, i lavoratori sempre disponibili alla rivoluzione, possibilità di conciliare violenza illegale e consenso), ma che comunque svolge un'analisi politica che tenta di avere aderenza con la realtà. È una differenza rilevante con i documenti del periodo del massimo sviluppo della lotta armata (sequestro Moro) quando la schematicità dell'analisi riduce i documenti a una reiterata presentazione del minaccioso Sim (lo Stato imperialista delle multinazionali)"92. Ciò appare condivisibile, a patto di ridefinirne in toto il contesto. Quello messo insieme da Galli si presta a ingenerare alcuni equivoci di fondo. Il più importante dei quali pare quello di incuneare una sorta di cesura incolmabile tra le "prime Br"(e/o il "nucleo storico") e le "seconde Br", sia sul piano teorico-politico che su quello strategico-operativo. Soprattutto, nella cronaca giornalistica e nella memorialistica l'equivoco in questione si è costruito uno spazio di assoluto rilievo. Che tra le "prime" e le "seconde" Br; che tra le varie fasi della strategia della lotta armata operino fratture, differenze e distinzioni pare cosa indubbia e difficilmente confutabile. Ciò, però, non impedisce che tutta la storia delle Br e dei suoi militanti sia anche attraversata, motivata e regolata da costanti, senza l'esistenza delle quali la nascita e l'azione delle Br sarebbero state semplicemente impensabili e impossibili. Nel contesto delineato da Galli sono tali costanti a non essere adeguatamente scandagliate; al contrario, le fratture vengono enfatizzare. L'analisi dalle Br offerta nel periodo 1970-73 è lontana dalla realtà, astratta e schematica, così come quella elaborata nel corso dell'operazione Moro. Anzi, è proprio nella fase originaria che le Br metteranno a fuoco le invarianti concettuali su cui alligneranno la teoria-prassi dell"'attacco al cuore dello Stato", l'organizzazione delle tappe della "guerra di classe", la concezione dello Stato quale "regolatore reazionario del conflitto di classe", ecc. E lo si è visto diffusamente nelle pagine precedenti. Sintomatico è che un opuscolo brigatista del 1971, successivo all'Autointervista di settembre, rechi il titolo: Classe contro classe, guerra di classe. In piena coerenza coi loro presupposti teorici, in questo documento, le Br così precisano il loro compito: " ... quello di stimolare con l'azione il movimento, sforzandosi di incanalarlo entro la prospettiva strategica della guerra di popolo, svilupparne la forza, restituirgli sicurezza ed una fiducia nuova delle proprie possibilità"93. Ciò che nel corso degli anni Settanta varierà saranno le forme e le modalità del nesso tra strategia rivoluzionaria e lotta armata, tra lotta armata e guerra. Mai le Br revocheranno in dubbio quel principio cardine, secondo cui la prospettiva della loro azione è la "guerra di popolo" per il comunismo. Ciò esattamente perché, alla base, saranno sempre operanti le concezioni dello Stato, l'analisi della realtà politico-sociale italiana, gli elementi di strategia rivoluzionaria intorno cui le Br si costruiscono come organizzazione nel 1970.

Le differenze, pur rilevanti, che interverranno non rescinderanno mai il cordone ombelicale con l'apparato categoriale di fondazione; semmai, lo dilateranno vieppiù. Tant'è che già nel 1974, in aderenza agli elementi portanti del loro impianto teorico, le Br formalizzeranno la teoria dell"'attacco al cuore dello Stato", con il citato opuscolo emblematicamente titolato: "Contro il neogollismo portare l'attacco al cuore dello Stato". In esso le Br affermano: "All'accerchiamento strategico delle lotte operaie si risponde estendendo l'iniziativa rivoluzionaria ai centri vitali dello Stato; questa non è una scelta facoltativa, ma una scelta ìndispensabile per mantenere l'offensiva anche nelle fabbriche"94. Questo sviluppo di analisi e di progetto sarebbe impraticabile senza la vigenza degli elementi di teoria dello Stato e di strategia rivoluzionaria dalle Br sistematizzati nelle due Autointerviste. Nell'opuscolo del 1974 operaismo e statalismo si stringono ancora più indissolubilmente: l'attacco allo Stato viene reputato variabile strategica essenziale dell'attacco al fronte padronale; e viceversa. Su tutti e due i piani la cerniera fondamentale da disarticolare è ritenuta la Dc: elemento di raccordo tra "fascismo in camicia nera" e "fascismo in camicia bianca"; centro del "progetto neogollista" e asse portante della riorganizzazione e militarizzazione degli apparati di potere dello Stato. L'indicazione del progetto neo-gollista come bersaglio strategico dell'iniziativa rivoluzionaria serve alle Br per ricondurre a unità politica articolazioni distinte della loro scala di valori politici: fabbriche, mobilitazione di massa, antifascismo, attacco allo Stato, disarticolazione del potere del regime egemonizzato dalla Dc, risultanze e prospettive del processo rivoluzionario Esse sono estremamente chiare: "Questo progetto mira alla trasformazione della repubblica nata dalla Resistenza nel senso della creazione di una repubblica presidenziale...L'iniziativa controrivoluzionaria viene oggi oggettivamente assunta in prima persona da un blocco di potere interno allo stato; è soprattutto contro queste forze che dobbiamo sferrare i nostri attacchi più duri ... È tempo dì forzare la ragnatela del passato e superare l'impostazione tradizionale dell'antifascismo militante. Colpire i fascisti con ogni mezzo e in ogni luogo è giusto e necessario. Ma la contraddizione principale è oggi quella che si oppone al fascio di forze della controrívoluzione"95.

Va ricordato che l'opuscolo delle Br da cui stiamo citando è preparato contestualmente alla fase finale della preparazione dell'operazione Sossi (aprile 1974), di cui costituisce la base motivazionale e la cornice storico-politica. Vediamone ancora alcuni passaggi: "Parallelamente all'aggravarsi della crisi di regime, va affermandosi con inesorabile cadenza un processo di controrivoluzione ... Se nelle fabbriche l'Autonomia operaia è abbastanza forte e organizzata per mantenere uno stato di permanente insubordinazione ... fuori dalle fabbriche è ancora debole al punto di non essere in grado di opporre una resistenza agli attacchi controrivoluzionari (che) in questa fase non seguono un processo lineare. All'interno della controrivoluzione si scontrano due linee politiche: l'una è la tendenza golpista, l'altra è la tendenza della riforma istituzionale di stampo neogollista. Finché ci sarà spazio in Italia per soluzioni controrivoluzionarie che mantengano le apparenze e le forme della democrazia borghese pur calpestandone la sostanza, saranno queste a prevalere sulla soluzione golpista... Il progetto neogollista trova nell'attuazione del referendum — oltre che un primo momento di realizzazione — l'occasione per stringere intorno a sé tutte le forze della destra... È chiaro che se la Dc dovesse vincere il referendum alla testa delle forze neogolliste il progetto di riforma istituzionale dello Stato riceverebbe un enorme slancio e diventerebbe immediatamente piattaforma (per) ristabilire il dominio integrale della borghesia ... Se la crisi di regime e la nascita di una controrivoluzione agguerrita e organizzata sono il prodotto di anni di dure lotte operaie e popolari, per vincere il movimento di massa deve superare la fase spontanea e organizzasi sul terreno strategico della lotta per il potere solo con la lotta armata"96.

Essenzialismo politico ed escatologia politica tipici delle Br raggiungono qui l'apice: non accontentandosi più di contrapporre due schieramenti antitetici, assumono senz'altro che la scena sia interamente occupata dalla controrivoluzione in atto e dalla rivoluzione potenziale. Il progetto neogollista, presentato come tendenza vincente, appare come la risposta funzionale da parte della borghesia alla "crisi di regime" e ai livelli di lotta operaia e popolare sedimentati. Si osservi con attenzione il lessico politico delle Br: "crisi di regime" e non mai "crisi di sistema". Parlare di "regime", anziché di "sistema politico", consente alle Br di effettuare una tipica operazione di rimozione e semplificazione del quadro politico: estirpare dal panorama politico le forze della Sinistra o, comunque, non ruotanti rigidamente attorno ai "governi di coalizione", nella presunzione della loro assoluta ininfluenza ai fini della determinazione degli assetti politici97. Ciò, una volta di più, dà ragione ai motivi di fondo che fanno ritenere alle Br che il riformismo sia uno strumento e una strategia inservibili, dal punto di vista dell'interesse di classe della borghesia, per la soluzione della "crisi di regime". Tra "regime" egemonizzato dalla Dc e "sistema politico" viene, cosicché stipulata una coincidenza di fatto, essendo ritenute le forze della Sinistra fuori dal gioco politico: essere "fuori regime" viene a significare essere "fuori" dal gioco politico. Ma qui "regime" è, per le Br, anche indicazione forte e chiara della "centralità Dc". Secondo le Br, il "regime" è il "centro" della decisione e dell'azione politica: il teatro della scena politica. Di questo "regime" e di questa "azione scenica" la Dc, se così può dirsi, è il "centro del centro". Sicché centralità operaia, centralità dello Stato e centralítà della Dc costituiscono la triade inamovibile dell'ontologia politica delle Br.

Un ulteriore fattore colpisce nella lettura precipitante che della situazione italiana le Br forniscono. È il legame di coappartenenza che viene letto tra "crisi di regime" e approfondirsi del "processo di controrivoluzione". La "crisi di regime", per le Br, involge necessariamente nella controrivoluzione, anzi, in un certo senso, è la controrivoluzione in corso. Ecco disvelata la motivazione di fondo che situa al centro delle tendenze politiche in atto la "riforma istituzionale di stampo neogollista"; ossia, la "repubblica presidenziale". Una possibilità diversa, di rifondazione e rigenerazione del sistema politico, non viene nemmeno presa in considerazione. All'equivalenza "crisi di regíme"/controrivoluzione corrisponde simmetricamente un'altra equazione, non meno schematica e spuria: quella sussistente tra disarticolazíone/distruzione del regime e rivoluzione. La lettura precipitante del quadro politico, in questo modo, si abbina inestricabilmente alla previsione della lievitazione, ottemperate alcune condizioni di base (quelle, per intendersi, delineale dalla proposta della lotta armata), del potenziale e degli effetti concreti del processo rivoluzionario. Tra il precipizio della lettura e il lievitare della previsione, si stipula un "doppio legame": implicitamente ed esplicitamente, le Br assumono che senza il "precipitare" della controrivoluzione non potrebbe darsi il "lievitare" della rivoluzione. Una causa unica starebbe alla base di questo "movimento dialettico": la "crisi di regime" abbinata all'insorgere e resistere delle lotte operaie e popolari. Ciò che causa il "ricompattamento controrivoluzionario", è dunque, anche motore del processo rivoluzionario. Sul punto, le Br traggono patentemente ispirazione da quel passaggio marxiano (ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte) secondo il quale quanto più avanza il processo rivoluzionario tanto più si rafforza, riorganizza e cementa il fronte della controrivoluzione. È questo luogo marxiano che le Br hanno in testa, allorché definiscono il Sessantotto e l'autunno caldo il punto di origine dello "scontro di potere" in atto. Senonché, in Marx, la lettura delle lotte di classe in Europa (a partire dal 1848 fino al colpo di Stato del Bonaparte e alla Comune di Parigi) non compare mai come meccanismo bloccato, all'interno di una dialettica vincolata deterministicamente tra rivoluzione e controrivoluzione, funzionanti come contrappesi che si bilanciano e neutralizzano vicendevolmente. Perché di questo si tratta: nel modello proposto dalle Br "rivoluzione" e "controrivoluzione" sono ridotte a due varianti che entrano in rapporto attraverso un gioco di simmetrie e simulazioni progressive. Il neogollismo dovrebbe dare soluzione alla (simulata) "crisi di regime"; per contro, la strategia della lotta armata dovrebbe essere la via maestra del (simulato) processo rivoluzionario. In Marx, tanto il processo di costituzione della controrivoluzione che quello attivante la rivoluzione sono solcati da differenziazioni interne: sono sempre visti nel loro movimento, formando ognuno una massa elastica non soltanto di contrasto, ma anche in interazione. Mai Marx si è sognato di ipostatizzare controrivoluzione e rivoluzione in modelli/tendenze determinati univocamente, in guisa di archetipi universalistici deprivati di una dinamica interna e di una geografia/genealogia complessa e articolata. In Marx, controrivoluzione e rivoluzione sono sempre concepite come modelli di azione e reazione altamente flessibili e capaci di fornire, ognuna secondo la sua specificità, risposte di feed-back alle sollecitazioni esterne e alle tensioni che intervengono dal loro interno. E ciò qualunque sia il "giudizio di valore" sulla ermeneutica da Marx costruita intorno a termini/categorie come rivoluzione e controrivoluzione. Nel modello marxiano, il paradigma della lotta di classe non scade mai alla contrapposizione frontale e fondamentalista rivoluzione/controrivoluzione, in cui ognuno dei due termini viene ossificato in una figura/movenza elementare, semplificata e rozza. È sempre un che di determinato storicamente, incomparabilmente articolato e cadenzato nel tempo e nello spazio della politica, dello Stato e della storia. Vizi e limiti, pur seri, attribuibili a Marx, non attengono a questa modellistica scarnificata ed essenzialista del nesso rivoluzione/controrivoluzione. Aporia di fondo del concetto marxiano del 'politico' pare, piuttosto, una sproporzione, un vero e proprio vuoto epistemologico tra teoria sociale della rivoluzione e teoria politica dello Stato e della società. Limite che, addirittura, nel Marx giovane (giornalista politico) viene giustificato sul piano teorico-epistemologico con la delineazione della "differenza ontologica" tra il carattere assolutamente ed esclusivamente sociale della rivoluzione proletaria e il carattere assolutamente ed esclusivamente politico della rivoluzione borghese. Questa ontologia politica condizionerà costantemente la riflessione politica di Marx; fino al Marx maturo della Critica del Programma di Gotha, in cui funge quale base della teoria della transizione comunista come estinzione dello Stato e delle classi. In Stato e rivoluzione, Lenin si richiamerà esplicitamente a questa genealogia marxiana. Singolarmente (ma, forse, non troppo), in una sorta di regressione genetica a concetti/categorie delle origini, le stesse Br, col principiare degli anni Ottanta, approderanno a queste posizioni politiche. Una delle discriminanti teorico-concettuali di fondo tra "Partito comunista combattente" e "Partito guerriglia" sta proprio nel privilegiamento da parte del secondo del carattere sociale della rivoluzione e della guerriglia nella metropoli di contro all'enfatizzazione del primato dell'elemento politico da parte del primo. Nell'opuscolo n° 15 della "Colonna di Napoli" e del "Fronte delle carceri", l'esaltazione del carattere sociale della rivoluzione nella metropoli e della guerriglia metropolitana come ricomposizione di tutte le pratiche sociali e di tutti i saperi si sposa con la delimitazione della guerra come rapporto sociale innervato in tutto l'ordito storico-relazionale della società capitalistica98. Del pari, il rapporto politica/guerra viene riposizionato: non più clausewitzianamente la guerra come continuazione della politica con altri mezzi; ma anche e contestualmente: la politica come continuazione della guerra con altri mezzi99. Il riferimento teorico principale è qui costituito dalle analisi marxiane sul passaggio dalla "sussunzione formale" alla "sussunzione reale" del lavoro nel capitale (Il capitolo VI inedito). Solo che vengono indebitamente trasferite dal campo della critica dell'economia politica a quello della teoria sociale della rivoluzione, con un'evidente e scorretta forzatura sul piano cognitivo e scientifico. Successivamente, "Colonna Napoli" e "Fronte delle carceri" approfondiranno questo tipo di elaborazione, con un esplicito richiamo agli scritti politici marxiani della gioventù: passando dalla rilevazione del carattere sociale della rivoluzione nella metropoli alla teorizzazione della "guerra sociale totale"100. In questo sviluppo dell'analisi, la riflessione teorica si sublima e, insieme, si smarrisce nella superfetazione: il Marx degli Scritti politici giovanili e del Capitale101 viene in maniera spuria ricombinato con il discorso leniniano sull'inimiciza assoluta che, tra gli altri, aveva riscosso il notevole interesse di C. Schmitt102. Il risultato è uno spostamento allontanante tanto dalla posizione marxiana che da quella leniniana e, inoltre, su una costellazione di senso assolutamente non omologabiìe al "discorso decisionista" sulla coppia amico/nemico. Ma su tutto questo si dovrà riflettere in altra sede103.

Evocato, a grandi linee, uno degli itinerari teorico-politici delle Br, si può meglio insistere su alcuni nodi lasciati completamente in ombra dalle loro analisi politiche.

Teorizzando la "crisi di regime", le Br concepiscono il sistema dei partiti privo di flessibilità interna, capace soltanto di risposte monocausali e monodirezionali (controrivoluzione e omologhi). Ma, soprattutto, lo considerano incapace di neutra-lizzare il feedback entropico proveniente dall'ambiente, dalle aspettative e richieste sociali, dalle tensioni politiche. A dire il vero, le stesse teoriche del "sistema bloccato" hanno omesso di ispezionare appropriatamente il potenziale di risposta e neutralizzazione del conflitto sociale congenito nei sistemi politici delle società avanzate. Quanto più le prospettive di trascendimento e riforma integrale del sistema politico risultano bloccate, tanto più il sistema, per conservarsi, si trova costretto a incrementare le sue capacità di differenziazione e flessibilizzazione interne. Con ciò i margini del conflitto vengono recuperati entro le maglie del discorso politico sistemico, scongiurando l'ipotesi che l'entropia, esternaiizzandosi, si converta in catastrofe precipitante. Gli anni Settanta italiani, per l'appunto, costituiscono un esempio paradigmatico di quanto stiamo venendo argomentando104.

Il passaggio da forza a potere, che ha rideterminato dall'interno tutte le teorie della sovranità, pone sempre più in secondo piano l'uso della forza fisica e della strategia repressiva controrivoluzionaria come mezzo di regolazione principale del conflitto sociale. Siffatta transizione tocca nelle società complesse i suoi livelli di soglia; fino al punto che il potere medesimo si connota e articola come mezzo di comunicazione (Parsons/Luhmann). L'azione delle Br indurrà effetti destabilizzanti all'interno del sistema politico, non dove ne accentua la parabola critica sino al punto limite di rottura; bensì allorché ne scompiglierà e metterà in discussione i complessi riaggiustamenti interni, attraverso processi di differenziazione, flessi-bílizzazione e ricombinazione105. Proprio questa azione destabilizzante ha un effetto boomerang, nella misura in cui obbliga il sistema politico a ritrovare la via dell'accordo e della rinegoziazione dei patti politici dell'intesa, sotto l'urto della minaccia proveniente dall'incalzare della lotta armata. L'emergenza medesima, d'altronde, è stata la rinegoziazione perpetua del patto politico all'interno dello schieramento di maggioranza e tra la maggioranza e l'opposizione.

I tassi di comunicazione interna (e i suoi ritmi di velocità) di un sistema politico aumentano, allorquando esso si trova ad affrontare, ridurre e ricondurre sotto la sovranità del controllo sociale fenomeni di turbolenza perduranti e intensi. Il sistema politico italìano è, sì, sprovvisto dì una strategia all'altezza della complessità dei problemi della società italiana; ma, capillarizzando le sue risposte, è stato capace di diluire progressivamente e progressivamente "destrutturare" quegli incípit del conflitto sociale portatori di una ridefinizione integrale del quadro politico. In ciò ha operato anche il ruolo perverso della Sinistra, la quale non ha saputo interpretare, cogliere e organizzare tali incipit. Gli stessi riaggiustamenti e le stesse rinegoziazioni all'interno del sistema politico, tra il 1971 e il 1974, rappresentano forme di espressione di questa parabola prospettica: centrodestra, centrismo, centrosinistra e incubazione della solidarietà nazionale si succedono vorticosarnente, in una progressione zigzagante che non sembra avere soluzioni di continuità e apparentemente priva di una logica precisa e stringente. Del resto, è questo un fenomeno tuttora sotto i nostri occhi. Sono, ormai, dieci anni che vige la formula del pentapartito. Formula strategicamente inadeguata a confronto della mole e dello spessore delle domande che salgono dalla società italiana. Formula che, tuttavia, è stata ripetutamente e conflittualmente ricontrattata e rinegozíata. La carenza strategica del sistema politico italiano non significa la sua contestuale uniformità e scheletricità. Il dato più significativo del sistema politico italiano sta esattamente nella contestualítà della sua bassa dotazione strategica e nella sua alta mobilità tattica. Questo profilo ancipite trova giustappunto negli inizi degli anni Settanta un punto/passaggio rilevante. Le Br non lo colgono allora; non lo coglieranno dopo. Prima e dopo, formuleranno le loro domande e cercheranno le risposte, simulando ideologicamente la polarizzazione rivoluzione/controrivoluzione. Le mediazioni e articolazioni, così come vengono fatte saltare all'interno della controrivoluzione, sono fatte mancare nel seno della rivoluzione. Ma sull'insieme intricato di tali tematiche dovremo soffermarci più puntualmente nella seconda parte della nostra ricerca, allorché sarà inquadrato il rapporto di interazione/disarticolazione istituitosi tra sistema politico e lotta armata.

 

 

Note

1 Su questo punto, rinviamo al capitolo precedente.

2 G. Galli, Il bipartitismo imperfetto, Bologna, Il Mulino, 1966.

3 G. Pasquino, Sistema politico bloccato e insorgenza del terrorismo: ipotesi e prime verifiche, in G. Pasquino (a cura di), La prova delle armi, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 175-220. Una rassegna delle ipotesi e delle tesi sulla lotta armata, assai interessante per articolazione politico-culturale, è stata fornita anche da N. Dalla Chiesa, Il terrorismo di sinistra, in Donatella della Porta (a cura di), Terrorismi in Italia, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 293-330. Nel volume curato dalla della Porta è possibile rinvenire un'utile, ma non esaustiva, linea di ricerca intorno alla "storia" delle Br: G. C. Caselli-D. della Porta, La storia delle Brigate rosse: strutture organizza-tive e strategie d'azione, pp. 153-221.

4 Oltre al capitolo precedente, si rinvia ad A. Chiocchi, Note sulla democrazia italiana, Avellino, Quaderni di "Società e conflitto", n. l, 1989, capp. III e IV.

5 L. Bonanate, Dimensioni del terrorismo politico, in L. Bonanate (a cura di), Dimensioni del terrorismo politico, Milano, Angeli, 1979, p. 177. Di Bonanate cfr. pure Terrorismo e governabilità, "Rivista italiana di scienza politica", XIII, 1983, pp. 37-64.

6 L. Bonanate, Dimensioni..... cit., pp. 177-178.

7 Ibidem, p. 178.

8 N. Tranfaglia, La crisi italiana e il problema storico del terrorismo, in M. Galleni (a cura di), Rapporto sul terrorismo, Milano, Rizzoli, 1981, pp. 517-518. Di Tranfaglia è utile consultare la recentissima introduzione storico-politica a Vite sospese. Le generazioni del terrorismo (a cura di D. Novelli e N.Tranfaglia), Milano, Garzanti,1988.

9 G. Pasquino, op. cit., p. 178, nota n. 3.

10 N. Tranfaglia, op. cit., p. 523. Qualche pagina prima, Tranfaglia era stato altrettanto chiaro: "La coalizione di governo non oppose un riformismo moderno e aggressivo (come avvenne ad esempio in Francia) bensì il trasformismo conservatore... un metodo di gestione della cosa pubblica inadatto a far fronte alle difficoltà economiche risorgenti agli inizi degli anni settanta e al progrediente sfacelo dell'amministrazione pubblica" (p. 491).

11 F. Mancini, Terroristi e riformisti, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 51.

12 Ibidem, p. 53.

13 A. Melucci, L'invenzione del presente. Movimenti, identità, bisogni individuali, Bologna, Il Mulino, 1982, p. 118. Di Melucci cfr., sul punto, anche Appunti su movimenti, terrorismo, società italiana, "Il Mulino", n. 256, 1978.

14 A. Melucci esamina organicamente, sia in termini empirici che teorici, la massa delle relazioni tra sistemi, partiti e movimenti in Sistema politico, partiti e movimenti, Milano, Feltrinelli, 1977, 1989.

15 Cfr., sul punto, A. Chiocchi, op. cit., cap. IV.

16 Ibidem, capp. III e IV; si rinvia a questo lavoro anche per la relativa bibliografia.

17 U. Pecchioli, Prefazione a M. Galleni (a cura di ), op. cit.

18 Donatella della Porta-M. Rossi, Cifre crudeli. Bilancio dei terrorismi italiani, Bologna, Materiali di ricerca dell'Istituto Cattaneo, 1984, p. 73.

19 G. Galli, Storia del partito armato 1968-1982, Milano, Rizzoli, 1986.

20 Ibidem, pp. 315-317.

21 Ecco come si esprime Galli: "... Renato Curcio tiene una relazione che si può considerare la carta di fondazione del partito armato" (op. cit., p. 6).

22 Cit. da Galli, op. cit., p. 6.

23 G. Caselli-D. della Porta, op. cit., p. 168.

24 R. Thom, Stabilitè structurelle et catastrophes, 1976; cit. da R. Atlan, Tra il cristallo e il fumo, Firenze, Hopefulmonster, 1986, p. 268.

25 Rinviamo ancora al capitolo precedente.

26 Un esempio emblematico e assai chiaro di questa disidratazione epistemologica è fornito da un documento assai importante nella storia della "maturità" delle Br, prodotto dalla Brigata di Campo di Palmi: Per una discussione su soggettivismo e militarismo, marzo 1980 (in "Corrispondenza Internazionale", n. 14/15, 1980). In tale documento è, altresì, possibile rinvenire una panoramica sulla "dottrina dello Stato" in campo neomarxista: Poulantzas, Habermas, Offe, Negri e O' Connor. Nella panoramica critica, si attinge molto a questi autori, riadattando e semplificando i loro nuclei tematici centrali; atteggiamento che, come si visto, è una costante nell'incedere teorico delle Br.

27 "L'autunno rosso è già comunicato (é) una scadenza di lotta decisiva nello scontro di potere ... Contro le istituzioni che amministrano il nostro sfruttamento ... la parte più decisa e cosciente del proletariato in lotta ha già cominciato a combattere per costruire una nuova legalità, un nuovo potere... Ne sono esempi l'occupazione e la difesa delle case occupate come unico modo di avere finalmente la casa e l'opposizione di organizzazione proletaria per combattere i padroni e i loro servi sul loro terreno, alla pari, con gli stessi mezzi che utilizzano contro la classe operaia: diretti, selettivi, coperti" (cit. da G. Galli, op. cit., p. 14, ma anche da Soccorso Rosso, Brigate rosse, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 70-71).

28 Cit. da Galli, op. cit., p.18 e da Soccorso Rosso, op. cit., pp. 74-75.

29 Di parere diverso è G. Galli che qualifica la teoria politica delle Br nei termini dell'ortodossia marxista-leninista (op. cit., pp. 7-8, 13-14, 18-19). Ma Galli, nella sua opera, si spinge ancora più in là, fino ad adombrare reiteratamente un rapporto di causalità e linearità tra l'intero '68 e il marxismo-leninismo.

30 Come già accennato, l'opera L'ape e il comunista si deve ai militanti imprigionati delle Br e coincide col n. 16/17 di "Corrispondenza Internazionale", ottobre-dicembre 1980. R. Curcio e A. Franceschini sono, invece, gli autori di Gocce di sole nella città degli spettri, Supplemento al n. 20/22 di "Corrispondenza Internazionale", dicembre 1982.

31 L'antefatto teorico immediato del Pg sono le 13 Tesi sulla sostanza dell'agire da partito in questa congiuntura, Colonna Napoli/Fronte delle carceri (maggio-giugno 1981), pubblicato come Autointervista dal "Quotidiano dei Lavoratori" nel giugno del 1981. Successivamente, il Pg fissa la sua elaborazione teorica nella Risoluzione della (sua) Direzione Strategica del dicembre 1981. Per le questioni qui in discussione rilevano le "Tesi di fondazione" (prima parte della Risoluzione) e la definizione e l'analisi della "congiuntura" (seconda parte).

32 Antefatto teorico della discussione interna all'area del Pcc può essere considerato, invece, il libro di A. Coi-P. Gallinari-F. Piccioni-B. Seghettì, Politica e rivoluzione, Milano, Giuseppe Maj Editore, 1983. Questo libro può essere considerato molto probabìlmente l'ultima riflessione di un certo respiro teorico proposta dall'intemo del Pcc. Anche se della produzione successiva non si ha la necessaria conoscenza. Resta, comunque, l'impressione che la produzione teorico-politica del Pcc nella fase che va dal 1985 al 1987 sia progressivamente caduta di tono. Per quanto concerne, infine, il dibattito e la discussione interni alla colonna Walter Alasia nel periodo 1980-81 cfr. AA.VV., Frammenti di lotta armata e utopia rivoluzionaria, in "Contro-Informazione", novembre 1984.

33 Cit. da Galli, p. 23 e da Soccorso Rosso, p. 71.

34 "Un problema si fa avanti: il problema di una strategia unitaria del movimento di lotta. Molti ostacoli teorici e pratici rendono difficile la sua soluzione. Tutto il lavoro del nostro giornale vuole essere un contributo a sciogliere questi ostacoli presentando la pratica, le tesi e le tendenze di quei movimenti di classe che hanno come base comune lo sviluppo della guerriglia come forma di lotta dominante per la liberazione della classe operaia da ogni forma di sfruttamento" (cit. da Galli, p. 24 e da Soccorso Rosso, p. 89).

35 L'Autointervista è reperibile in Soccorso Rosso, op. cit., pp.103-108.

36 L'evidenza è acutamente colta da Galli, op. cit. p. 28.

37 Per le "operazione setaccio" e relativa strategia, cfr. G. Bocca, L'arma. I carabinieri da De Lorenzo a Mino: 1962-1977, Milano, 1978, pp. 128-129, 134-137; G. Galli, op. cit, pp. 30-32.

38 Cit. da Galli, p. 32.

39 "Ci sembra che ci sia una concordanza di vedute nella sinistra sulla situazione attuale. Non sfugge né ai riformisti né alle forze extraparlarnentari il progetto della riorganizzazione della borghesia su una prospettiva reazionaria e violentemente antioperaia. E più in generale tutti riconoscono che è iniziato uno scontro decisivo nel quale si giocano da una parte, cioè dalla parte della borghesia, la possibilità di un nuovo equilibrio politico ed economico, dall'altra, cioè da parte dei lavoratori la prospettiva di un capovolgimento dei rapporti di produzione. Ma a parte i riformisti la cui strategia si rivela sempre più suicida di fronte all'attacco reazionario, ciò che ci interessa di mettere in evidenza è lo stato di impreparazione in cui si trovano le forze rivoluzionarie di fronte alle scadenza di lotta. Alla sinistra rivoluzionaria è mancata la consapevolezza che il ciclo iniziato nel '68 non poteva che portare agli attuali livelli di scontro e non vi è stata quindi la predisposizione degli strumenti idonei a farvi fronte. La nostra esperienza politica nasce da questa esigenza" (Autointervista del 1971, risposta alla prima domanda).

40 "Oggi ci troviamo davanti ad un capovolgimento delle prospettive politiche della borghesia. Esso è dovuto al mancato congiungimento delle prospettive di sviluppo del capitalismo e dei progetti politici dei partiti riformisti. La borghesia infatti posta di fronte all'iniziativa della classe operaia che ha rifiutato il riformismo come progetto di stabilizzazione sociale ponendo all'ordine del giorno la fine dello sfruttamento, e alle oggettive contraddizione dell'imperialismo che impediscono la programmazione pacifica dello sviluppo del capitalismo nei singoli paesi, ha dovuto riorganizzare "a destra" l'intero apparato di potere" (Ibidem, risposta alla terza domanda).

41 Ibidem, risposta alla terza domanda.

42 Si rinvia ancora ad A. Chiocchi, op. cit., cap. IV.

43 Ibidem, in specie il cap. III.

44 Ultimamente è ritornato su questi luoghi politici togliattiani E. Di Giacomo, Il marxismo italiano, Poggibonsi, Lalli Editore, 1988, pp. 61-104. L'analisi proposta dal Di Giacomo, però, non si rivela sufficientemente critica; volta, come è, a ricostruire una trama teorica compatta che avrebbe connotato l'essere e l'agire del Pci nel percorso che va da Gramsci a Togliatti fino a Berlinguer.

45 Si rinvia, sul punto, alla Risoluzione della Direzione Strategica del febbraio 1978, reperibile in G. Bocca, Moro, Una tragedia italiana, Milano, Bompiani, 1978.

46 In "Rinascita", 31/9/1972; cit. da Di Giacomo, op. cit., p. 105.

47 Autointervista del 1973, risposta alla settima domanda; reperibile in Soccorso Rosso, op. cit., pp. 144-149.

48 Autointervista del 1971, cit., risposta alla quinta domanda.

49 Ibidem, risposta alla nona domanda.

50 Ibidem, risposta alla quinta domanda.

51 Ibidem, risposta alla settima domanda.

52 Ibidem, risposta alla quinta domanda.

53 Ibidem.

54 Ibidem, risposta all'undicesima domanda.

55 Ibidem, risposta alla dodicesima domanda.

56 Ibidem, risposta alla tredicesima domanda.

57 Ibidem, risposta alla quattordicesima domanda.

58 Per quanto concerne i presupposti ideologici e di filosofia della storia caratterizzanti la posizione delle Br, si rinvia ad A. Chiocchi, op. cit., cap. VI.

59 D. A. Snow-R. D. Benford, Schemi interpretativi dominanti e cicli di protesta, "Polis", n. l, 1989, pp.5-40; segnatamente, pp. 32-33.

60 G. Galli, op. cit., p. 41. In relazione allo smantellamento delle strut-ture fino a quel periodo messe in piedi dalle Br, cfr. G. Galli, op. cit. pp. 40-41, 44-45; V. Tessandori, BR. Imputazione banda armata, Milano, Garzanti, 1977, pp. 88-91.

61 Cit. da Galli, op. cit., p. 51 e da Soccorso Rosso, op. cit., pp. 134-135.

62 Lo puntualizza opportunamente G. Galli, op. cit., p. 53.

63 Ibidem, pp. 53-54.

64 Soccorso Rosso, op. cit., pp. 128-129;cfr. anche G. Galli, op. cìt., p. 55.

65 G. Galli, op. cit., pp. 55-56.

66 Tutti i documenti in questione sono stati pubblicati da "il manifesto" che ha pure aperto una discussione sul tema che, dal marzo del 1987, dura tutt'oggi. È ultimamente tornato su questi temi, con atteggiamento critico sobrio e partecipato, S. Mannuzzu, Oltrepassare come. Una lettera, "Democrazia e diritto", n. 13, 1989, pp.179-184.

67 In questi termini precisi si esprime già la prima lettera di Bertolazzì, Curcìo, Iannelli e Moretti.

68 Rossana Rossanda, Quale cultura per il dopo-terrorismo, "l'Unità", 28 agosto 1984.

69 Rossana Rossanda, Ascoltando le Brigate rosse, "il manifesto", 27/28 marzo 1988.

70 R. Rossanda, Quale cultura... cìt.

71 Ibidem.

72 lbídem.

73 Ibidem.

74 R. Rossanda, Ascoltando... cit.

75 Ibidem.

76 Ibidem.

77 Ibidem.

78 In proposito, si rimanda a G. Bocca, Noi terroristi, Milano, Garzanti, 1985; G. Bocca, Gli anni del terrorismo, Roma, Curcio Editore, 1988; Franceschini-Buffa-Giustolisi, Mara, Renato e io, Milano, Mondadori, 1988; Nadia Ponti, Piccola e minuta com'ero, "il manifesto", 5/6 marzo 1989. Rilevanza rivestono anche le testimonianze dirette fornite nel volume curato da D. Novelli e N. Tranfaglia innanzi citato, per quanto solo una minima parte dei soggetti interessati alla ricerca abbia avuto una militanza nelle Br.

(79) "Ci sembra che lo sviluppo della situazione politica italiana abbia confermato la scelta di fondo che abbiamo fatto nei primi mesi del '70. La crisi di regime non si è affatto risolta in senso riformista e non ci sono prospettive di soluzioni in tempi apprezzabili. Al contrario, la formazione di un governo di centro-destra con l'esclusione dei socialisti, il rilancio dei fascisti come "forza parallela", l'attacco frontale al movimento dei lavoratori e la militarizzazione sempre più arrogante dello scontro politico e sociale stanno a dimostrare che il fronte politico borghese persegue con accresciuto accanimento l'obiettivo dì una restaurazione integrale della sua dittatura e quindi una sconfitta politica senza mezzi termini della classe operaia" (Autointervista del 1973, cit., risposta alla prima domanda).

80 Ibidem, risposta alla terza domanda.

81 Ibidem. Da questa critica le Br si erano difese già nell'Autointervista del 1971 e si continueranno a difendere per tutto il corso della loro esistenza: si confronti, sul punto, il "Comunicato Nr.19" al processo d'appello celebrato a Torino contro il "nucleo storico". G. Galli e R. Lombardi, tra gli altri, sono concordi nel non ritenere le Br un'organizzazione terroristica; lo ritiene, al contrario, R. Rossanda (cfr. i due articoli prima citati e la costante riflessione sul punto da ella proposta). Sosterrà Lombardi: "Terrorismo è l'azione indiscriminata rivolta a colpire non quelli che si ritengono nemici, ma creare disordine e terrore senza preoccupazione alcuna di quelle che sono le vittime. Le Brigate rosse, con logica distorta e aberrante, colpiscono, in modo efferato e terribile, quelli che ritengono essere dirigenti o rappresentanti di un esercito nemico" ("Il Giorno", 12 aprile 1978; cit. da Galli, op. cit., p. 57). Nemmeno a nostro avviso la lotta armata in Italia è omologabile al terrorismo; tantomeno le Br sono equiparabili a organizzazioni terroristiche. Abbiamo più argomentatamente discusso il tema nel capitolo precedente.

82 Ibidem, risposta alla quarta domanda.

83 Ibidem, risposta alla quinta domanda.

84 Ibidem, risposta alla sesta domanda.

85 "Un progetto rivoluzionario in Italia è impensabile senza la partecipazione attiva dei proletari del Sud. Purtroppo le esigenze rivoluzionarie delle masse meridionali sono attualmente distorte a causa del fallimento delle strategie riformiste. Temporaneamente la borghesia fascista è riuscita ad egemonizzare strati proletari di alcune zone del Sud e ad organizzare la "rabbia" intorno ad obiettivi niente affatto rivoluzionari. Sta ora alle forze operaie d'avanguardia del Nord riaprire il discorso di unità politica col Meridione. È un compilo urgente a cui dobbiamo dedicare la massima attenzione per evitare che l'azione della borghesia del Meridione si riversi contro la classe operaia del Nord" (Ibidem, risposta all'ottava domanda). Fatta questa premessa/cornice, il discorso si precisa e articola: "… lo stato, il governo e i padroni danno fiato al 'meridionalismo' delle clientele fasciste e si assumono la responsabilità di una 'tendenza eversiva' che di fatto è eversiva solo in rapporto alla classe operaia. Ad aumentare la confusione contribuiscono poi le forze riformiste che, difendendo questo 'stato democratico', che per il Sud è solo repressione e sfruttamento, di fatto aiutano la destra a stabilire un'egemonia sulle forze proletarie che tendono a muoversi contro il sistema" (Ibidem, risposta alla nona domanda). Quindi il discorso si conclude: "Meglio essere chiari: [possono sbloccare la situazione al Sud] non certo quei gruppi intellettuali della sinistra meridionale che passano il loro tempo a studiare "le fasi dello sviluppo capitalistico nel meridione" o "il divario storico tra Nord e Sud" che continua a crescere. Anche quei gruppi che hanno puntato tutto sull'agitazione e sulla propaganda politica hanno poche probabilità di dare alle spinte rivoluzionarie ricorrenti uno sbocco strategico. Per sbloccare la situazione occorre che si consolidi una avanguardia armata che sappia unire nella lotta contro i fascisti, le borghesie locali e gli organi repressivi dello stato, la nuova classe operaia, i braccianti, i disoccupati ed il sottoproletariato" (Ibidem, riposta alla decima domanda).

86 Va sottolineato che, in gran parte, l'impalcatura originaria del meridionalìsmo delle Br si conserva nella Risoluzione della Direzione Strategica del febbraio del 1978, in cui viene imperativarnente posto l'obiettivo di "Sfondare la barriera del Sud!". Tracce consistenti di questa impalcatura le rinveniamo anche nell'opuscolo n. 14 (Sfondare la barriera del Sud!) dell'aprile 1981, con cui la colonna napoletana delle Br mitiga e intreccia il discorso sulla centralità operaia con quello sull'efforescenza del "marginale" nella straordinarietà disegnata dal post-terremoto. È qui il caso di ricordare che le analisi, le strategie e le prospettive indicate dalla colonna napoletana con l'opuscolo n. 14 (il quale raccoglie materiale elaborato dall'estate del 1980 al marzo del 1981) costituiscono la piattaforma programmatica su cui viene pensata e impostata la "campagna Cirillo" (aprile-luglio 1981). La quale campagna trova un ulteriore momento di sviluppo politico-programmatico nel già indicato opuscolo n. 15 (13 Tesi sulla sostanza dell'agire da partito in questa congiuntura), elaborato e curato dalla Colonna di Napoli delle Br e dal Fronte delle carceri nel maggio-gíugno 1981. Con quest'ultimo opuscolo vengono sviluppati e si esprimono in termini di "discussione pubblica" i termini delle contraddizioni politiche che attraversano la struttura politico-organizzativa delle Br e che di lì a poco (agosto 1981) daranno luogo a due proposte politiche e organizzativi distinte e differenziate: da una parte il Pcc e dall'altra il Pg; dimostrandosi così precaria e mal radicata la mediazione raggiunta con la Risoluzione della Direzione Strategica dell'ottobre del 1980. A ben vedere, come la nostra stessa ricerca ha dimostrato, trattasi di contraddizioni che toccano il "profondo" della storia e della costituzione delle Br: da sempre innervate nella loro mappa genealogica e nella loro architettura concettuale e che, dopo circa dieci anni, giungono al loro punto di esplosione. Tornando al meridionalismo delle Br, erroneamente, G. Galli e G. Bocca fanno dipendere programmaticamente e politicamente la "campagna Cirillo" da L'Albero del peccato (Parigi, 1983) che è successivo alla progettazione ed esecuzione della campagna; e, inoltre, è opera di militanti prigionieri delle Br e "simpatizzanti" alle Br. Sullo stesso piano ideologico, politico e programmatico e su quello dell'analisi e delle indicazioni politiche, le differenze tra opuscolo n. 14 e opuscolo n. 15, da una parte, e L'Albero del peccato, dall'altra, sono svariate e non di poco conto: a partire dall'analisi dell'esercito industriale di riserva e della sovrappopolazione relativa e finendo al "cartello" indicante gli "obiettivi immediati". Esemplificando: il cartello degli "obiettivi immediati" della "campagna Cirillo" prevedeva la "requisizione delle case sfitte" e l'"indennità di disoccupazìone"; quello de L'Albero del peccato, "l'esproprio di massa organizzato". Non può immaginarsi cesura più netta.

87 Autointervista del 1973, cit., risposta alla undicesima domanda.

88 Ibidem, risposta alla dodicesima domanda.

89 Ibidem, risposta alla tredicesima domanda.

90 Ibidem.

91 Ibidem, risposta alla quattordicesima domanda.

92 G. Galli, op. cit., p. 57.

93 Cit. da G. C. Caselli-D. della Porta, op. cit., p. 163.

94 Ibìdern, p. 178.

95 Ibidem, pp. 178-179.

96 Cit. da G. Galli, op. cit., p. 71; ma anche Soccorso Rosso, op. cit., p. 172. Il documento in questione fu pubblicato il 13 maggio 1974 da due quotidiani vicini alla Dc, "Il Giomale d'Italia" e "Il Tempo".

97 Galli rileva acutamente questo dato: "Si tratta di un documento che, come gli altri citati, trascura le possibilità di successo del riformismo e del progressismo" (op. cit., p. 71).

98 Colonna di Napoli/Fronte delle Carceri, 13 Tesi sulla sostanza dell'agire da partito in questa congiuntura, cit.; nella fattispecie, si tratta della ultima tesi.

99 Ibidem. È singolare rilevare come passaggi del genere siano presenti anche in autori tanto lontani dalle Br come M. Foucault e M.Tronti; ovviamente, in un contesto irriducibile a quello brigatista. Foucault, analizzandolo in termini dì lotta, scontri e guerra, afferma: "il potere è la guerra, la guerra continuata con altri mezzi; si rovescerebbe così l'affermazione di Clausewitz, dicendo che la politica è la guerra continuata con altri mezzi" (Corso del 7 gennaio 1976, in Microfisica del potere, Torino, Einaudi, 1977, p. 175). M. Tronti, per parte sua, tentando di ricategorizzare il concetto di "gioco politico" sul campo della "manovra strategica" e di recuperare alla "teoria democratica" il nesso amico/nemico, delinea uno scenario in cui la politica compare "come continuazione della guerra con altri mezzi" (Sinistra, "Laboratorio politico", n. 3, 1981, p. 144).

100 Partito Guerriglia, Risoluzione della Direzione Strategica, dicembre 1981,cit., ciclostilato; segnatamente, il rinvio è alle "Tesi di fondazione". elaborate nell'agosto del 1981. Il discorso delle "Tesi" è successivamente ripreso da: (i) Brigata di Campo di Palmi, Forzare l'orizzonte, "Contro-Informazione", febbraio 1982; (ii) R. Curcio-A. Franceschini, Gocce .... cit., segnatamente l'ultimo parafrago dell'ultimo capitolo (pp. 277-281), in cui vengono riportati integralmente lunghi passaggi dell'ottava e della nona "Tesi di fondazione".

101 Per i testi qui richiamati, cfr. K. Marx, Il capitolo VI inedito, Firenze, La Nuova Italia, 1971; K. Marx, Scritti politici giovanili, Torino, Einaudi, 1975.

102 C. Schmitt, La teoria del partigiano, Milano, Il Saggiatore, 1981. Si rinvia a questo testo per il richiamo dei testi leniniani sull'argomento.

103 Per una iniziale discussione di questi temi, cfr. A. Chiocchi, Note sulla democrazia italiana, cit., cap. VI.

104 Cfr. Yasmine Ergas, Nelle maglie della politica, Milano, Angeli, 1985; A. Chiocchi, op. cit., cap. IV.

105 Il dato è colto con acume da C. Marletti, Terrorismo e comunicazione di massa, in G. Pasquino (a cura di), La prova delle armi, cit., pp. 163-164. Marletti si riferisce espressamente all'operazione Moro.