CAP. I

LE RETI CAUSALI PRIMORDIALI

  

 

 

1.

Postulati di esistenza e meccanismo di autofondazione

Le finalità costitutive e i sistemi valoriali fondazionali della lotta armata ruotano attorno a un doppio ordine di esigenze:

a) rovesciare l’universo del discorso etico-politico e storico- sociale dell’ordine borghese-capitalistico, ritenuto totalitario e senza speranze di libertà;

b) accedere, attraverso la teoria-prassi combattente, all’universo discorsivo ed etico-politico della "liberazione comunista", entro il cui seno la rivoluzione sociale e politica è portato di libertà assoluta per la "comunità liberata" e il singolo che vi si trova relazionalmente implicato.

Stante quest’ordine di esigenze, la lotta armata si costruisce e immagina come rottura della crisi del sistema borghese-capitalistico e, insieme, superamento delle teorie della rivoluzione della tradizione, per le quali l’organizzazione armata della violenza è una variabile temporanea ed estrema e non, invece, una regolarità costante del progetto di trasformazione sociale. Deviando dagli enunciati classici della rivoluzione, soprattutto quelli della tradizione marxista e leninista cui più direttamente si richiama, la teoria-prassi combattente si autofonda come l’unico mezzo conforme al raggiungimento dei fini della "comunità liberata". Possiamo definire questa posizione un postulato d’esistenza a priori. Da esso discende l’autoinvestitura, da parte della lotta armata, dei ruoli propri del soggetto della liberazione e delle funzioni intrinseche al progetto liberante. Per questa via, essa arriva a delineare gli elementi ideologici di un immaginario della rivoluzione codificante il soggetto combattente come "comunità liberante". Questa codificazione simbolica possiamo definirla un postulato d’esistenza a posteriori.

Il profilo di estrema rottura che caratterizza il fine e i mezzi selezionati dalla lotta armata richiede un sistema autogiustificativo primario tanto più forte e legittimante nella scala etico- valoriale quanto più deflagrante e terribile è l’azione sul piano politico-sociale. La trasgressione armata, prima ancora che a valle della razionalità del calcolo politico delle probabilità, si disloca a monte come un assoluto intrascendibile a cui il soggetto e la comunità che vogliono salvare il mondo e l’umanità dal giogo borghese-capitalistico non possono sottrarsi, pena la perdita dei loro multiversi discorsivi e del quadro delle loro coerenze esistenziali, politiche e morali.

Le reti causali primordiali dell’opzione armata costituiscono, pertanto, un oggetto d’indagine particolarmente rilevante. Esse distendono la loro azione e le loro funzioni simboliche tra il postulato d’esistenza a priori: vale a dire, l’universo regolativo della fondazione della lotta armata, e il postulato d’esistenza a posteriori: vale a dire, l’universo regolativo della legittimità della lotta armata. Tra fondazione e legittimazione si istituisce, così, un perfetto circolo chiuso. Tale circolo chiuso costituisce l’universo di senso che fonda e regola la lotta armata, nel seno della quale politica, etica e storia sono reperibili strettamente avvinte. L’opzione armata è, prima di ogni altra cosa, opzione dal di dentro e a favore di un’ontologia primaria; è scelta dell’ etica, della politica e della storia che confermano sul piano ideologico e realizzano sul piano fattuale i valori ontologicamente racchiusi nella codificazione combattente della società comunista. Nasce da qui quel composto indivisibile di etica, politica e storia che alimenta e modella la motivazione profonda dell’opzione combattente. La lotta armata si propone lo scopo precipuo di esternalizzare con i mezzi della guerra l’universo di senso che interiormente la motiva: essa cerca, in questa esternalizzazione, la giustificazione perfetta e sublime delle proprie origini autofondative. Con la ridondanza delle sue causali e motivazioni interne intende supplire all’indigenza delle realtà esterne e dei loro universi di senso. Alla povertà del tempo e al tempo della povertà della società tardocapitalistica e dello Stato che le corrisponde essa intende replicare con l’ecce-denza del progetto della liberazione armata comunista. Con ciò, sovraimpone il suo universo di senso all’intero mondo circostante e in siffatta sovraimpressione cerca e trova le giustificazioni e le finalità del suo meccanismo decisionale e funzionale.

Il carattere più o meno performante dell’azione combattente finisce con l’essere il fattore di verificazione dell’opzione armata. Nel senso che la prassi armata diviene elemento proiettivo e giustificativo delle opzioni etico-politiche originarie, più che misurarsi con i mondi e le realtà della storia. Il dispositivo della razionalità combattente, a questa profondità dei nessi causali e motivazionali, è una forma di meccanismo che si autoregola, allo scopo di dare per risolta la sua coerenza interna, più che verificarne all’esterno il portato di legittimità e di efficacia. Un divieto di metamorfosi mina dall’interno i mondi simbolici che la lotta armata mette in codice: essi costituiscono il sempre eguale della mistica della salvezza attraverso la "guerra di liberazione comunista". L’universo di senso da cui partono le codificazioni simboliche della razionalità combattente viene assunto e metabolizzato come il già dato della perfezione della metamorfosi, il non plus ultra delle rivoluzioni etico- politiche possibili: il comunismo è qui codificato e introiettato come plusvalore simbolico. Ciò sgrava il soggetto combattente del fardello della rimessa in questione della propria identità e della propria azione, affrancando, inoltre, la prassi armata dalla responsabilità etica e politica dell’autoriflessione critica sui suoi moduli, sui suoi contenuti e sui suoi esiti. Il divieto di metamorfosi interna viene rielaborato strumentalmente come non sussistenza della necessità dell’autometamorfosi, ritenendo qui l’universo di senso combattente già il massimo della perfezione possibile. L’esigenza della metamorfosi sta qui solo fuori l’orizzonte del discorso della teoria-prassi armata: è il mondo di fuori che va cambiato, a partire dal proprio mondo di dentro, assunto come espressione della perfezione e come arma di salvezza. Il mondo di fuori può qui essere cambiato esattamente e solo dalla lotta armata, dalla legittimità dei suoi sistemi valoriali e dal profilo performante della sua identità e della sua azione.

La trasgressione delle regole etiche e politiche della società ufficiale non è altro che la proiezione sublimata della fede incrollabile nei valori etico-politici di quei mondi simbolici della perfezione morale e politica a cui il soggetto combattente e la teoria-prassi armata hanno interiormente, eticamente e politicamente dato adesione. Tali mondi simbolici prefigurano ideologicamente, politicamente e storicamente la società perfetta: il comunismo, che, con un effetto di coerenza terribile, resterebbe da realizzare e organizzare mondanamente, per il tramite dell’organizzazione di scala della violenza armata. È l’amore per la lotta armata e il suo progetto sovraliminale e universalizzante che condensa, sublima e surroga l’amore per il mondo; è l’amore per il mondo della perfezione comunista che giustifica il disprezzo e l’odio per il mondo della corruzione e dell’imperfezione borghesi-capitalistiche.

2.

La reificazione simbolica

Lo scenario dell’immaginario allestito dalla rete delle causali primordiali della lotta armata si sostituisce per intero al teatro del reale. Il comunismo può, così, essere interamente ridotto a immagine, a plusvalenza segnico-linguistica. Ed è questo immaginario segnico-linguistico, la cui razionalità abbiamo appena isolato, a fungere come unica fonte erogativa di informazione, comunicazione e trasformazione. L’ambiguità e la parzialità ontologiche dell’universo di senso primario della lotta armata divengono un vero e proprio camaleontismo simbolico. Ogni azione, ogni messaggio, ogni simbolo, ogni soggetto, ogni prassi e ogni medium, qualunque siano la loro valenza significante, la loro mutevolezza di contenuti e la loro cifra storico-empirica, vengono camaleontisticamente interpretati e curvati alla struttura dicotomica della razionalità combattente: il No espresso contro la società borghese-capitalistica vale contestuamente come Sì elevato a favore della società comunista e inversamente. Il camaleontismo simbolico è il figlio diretto e inevitabile del deficit di senso primario, cagionato da un subliminale divieto di metamorfosi. Quanto meno una struttura di senso è capace di/ed è disposta a metamorfosarsi, tanto più è costretta, per sopravvivere, a fare ricorso alle tecniche e alle strategie del trasformismo simbolico. La sua regola diviene: mentire a se stessa e ai mondi vitali circostanti, elaborando una strategia operazionale incrementale di funzioni di finzioni.

Le determinanti soggettuali e oggettuali divengono materiali simbolici intercambiabili, oppure manipolabili e rielaborabili a piacimento, a seconda della circostanza e a conferma progressivamente amplificata dell’intangibilità e indefettibilità dei messaggi antropologico-culturali assunti come primari e fondativi. Una forma di "possessione demoniaca" si impadronisce del soggetto combattente e dell’universo di valori che motiva le sue opzioni, volizioni e decisioni.

Le strategie del soggetto combattente e la prassi armata, secondo questo livello di discorso, debbono inquadrarsi come specifiche tecniche di possessione e ossessione morale. La lotta armata, penetrata questa regione ancestrale, va letta come corpo dolorante e anima inquieta che, non riuscendo a venire a capo dei loro timori e dei loro turbamenti, spargono sof-ferenza, pulsioni di odio e morte dentro e fuori di loro. Il filtro culturale di recezione, adesione e critica del reale da essa messo in azione si rivela indigente; soprattutto, si mostra incapace di operare distinzioni congrue nelle costellazioni delle realtà materiali e delle realtà simboliche, non riuscendo a rispettarne e a solcarne il plesso differenziato, articolato e complesso. Le strutture ancestrali del sapere epistemico e conoscitivo della lotta armata vengono qui alla luce in tutta la loro tremenda deficienza. È questo deficit strutturale la prigione che, sin dall’inizio, rinserra la lotta armata in un cerchio vizioso, il cui diametro va sempre più comprimendosi.

Da dentro questa prigione essa fa la sua esperienza del sacro, trasformando il comunismo in elemento religioso mondanizzato. La lotta armata conquista il soggetto che la sceglie, poiché si presenta ai suoi occhi, ai suoi sensi e al suo cuore come il corpo mistico della rivolta assoluta che in una società secolarizzata e appiattita non manca di esercitare un enorme potere di fascinazione. Si trincera in questi grumi remoti la componente estatica presente nell’opzione combattente: la lotta armata è stata anche un’esperienza dell’estasi, quale par-tecipazione personale e collettiva alla costruzione in itinere della perfezione mondana.

Nell’estasi combattente v’è una componente sacramentale: se per la teologia di Tommaso d’Aquino la "sacramentalità" risiede nella partecipazione al "sacerdozio del Cristo" (Summa Theologica, III, 63, 3), il "carattere sacramentale" dell’opzione armata sta nell’intensa e incondizionata partecipazione emotiva al tempo futuro, conficcata nella strenua ribellione al tempo presente.

Il carattere sacrificale della lotta armata si impianta proprio sulle sue componenti estatiche e "sacramentali", in cui la nostalgia del futuro si pone come cancellazione del presente. La memoria del tempo diviene aggressione al tempo e la sete della "giustizia possibile" si ammanta della "ingiustizia necessaria": l’omicidio politico sistematico. Questa è la colpa attraverso cui la lotta armata si costringe a passare, per redimere il mondo e che la redenzione del mondo giustifica, per transitare dal "regno della necessità" al "regno della libertà". Tutte que-ste componenti, biforcandosi e intersecandosi, fanno di essa una particolare forma di potere, con una connotazione supremamente rituale.

Il sistema simbolico-rituale fornisce uno "scudo contro il terrore’’: l’ignoto, in questo modo, viene addomesticato, rielaborato, distanziato o rimosso. Nel caso della lotta armata, invece, non è l’ignoto che viene differito, rimosso o distanziato; è contro il noto che essa erige uno scudo simbolico. L’ignoto viene presentificato senza mediazione alcuna: assunta la forma del misticismo comunista armato, esso viene agito come una leva di semplificazione e scardinamento del mondo reale. Su questa finzione chiave si gioca la politica della lotta armata. Registriamo, in proposito, un’evidente e catastrofica esperienza di reificazione simbolica della politica, nel significato preciso che i simboli della lotta armata imperano totalmente sulle politiche della lotta armata. Costruzione e rappresentazione simbolica della realtà sono il baricentro dell’organizzazione operazionale della violenza perseguita dal progetto e dalle prassi della lotta armata. In questo modo, vengono conferite stabilità e durata all’identità combattente originaria, a fronte, dentro e contro una realtà instabile e in profondo sommovimento. Attraverso questi flussi interattivi simbolici, l’organizzazione combattente si mette nelle condizioni di riconoscere se stessa, codificando il processo di autoriconoscimento come autovalorizzazione. Al tempo stesso, i codici simbolici primari valgono come riconoscimento dell’Altro quale alterità ostile, mondo della devalorizzazione da negare e rovesciare, mediante una capillare e funzionale pratica di disarticolazione/distruzione.

Se ciò avviene, è per il fatto che le categorie simbolizzanti fanno immediatamente tutt’uno con le categorie culturalizzanti. Volendosi esprimere con maggiore precisione: il simbolo si fa per intero cultura e la cultura si risolve integralmente nel simbolo.

3.

Morte semantica e morte simbolica

La funzione simbolica assolve una funzione culturale in senso lato e generale: il simbolo diviene matrice di cultura e non è più la cultura ad essere mater del simbolo. Soltanto questa inversione basale della relazione cultura/simbolo consente al simbolo di infeudare la politica sotto il proprio imperio di comando, innescando quel processo di reificazione simbolica innanzi discusso. Il simbolo è qualche cosa di più del segnale e del segno, in quanto non è semplicemente indicativo, connotativo e denotativo; bensì costruzione ed elaborazione dell’ oggetto, in una posizione di distanza rispetto all’oggetto o addirittura in assenza dell’oggetto medesimo. Attraverso il simbolo, l’oggetto può essere inventato, elaborato o surrogato. La funzione simbolica propria della lotta armata consta esattamente nell’invenzione, elaborazione e surroga dell’oggetto assente: il comunismo. Il linguaggio, secondo i codici della razionalità combattente, finisce conseguentemente con l’assumere la funzione di un sistema simbolico inattuale che dell’inattualità fa la sua forza. Viene, così, parzializzata e irrigidita una delle virtù cardinali della comunicazione simbolica umana che è, sì, rinvio all’inattuale e al non ancora pensato e comunicato; ma anche e soprattutto espressione dialogica del noto e dell’ignoto, dell’attuale e dell’inattuale, del "qui e ora" e dell’altrove dello spazio/tempo, dell’"essere" e dell’"altrimenti dell’essere".

Le funzioni simboliche si accompagnano sempre a funzioni mentali e cognitive, di cui sono espressione e, nel contempo, origine di mutamento. Le mutazioni mentali, esistenziali e cognitive che contraddistinguono la condizione umana sono un portato della funzione simbolica; ma sono anche causa di mutamento non irrilevante nella funzione simbolica. Questa catena relazionale non lineare è spezzata dalla razionalità del dispositivo combattente, in cui non solo la funzione simbolica viene sclerotizzata secondo moduli invarianti, ma addirittura alle funzioni mentali e cognitive non vengono riconosciute autonomia di senso e indipendenza relativa dai fenomeni delle realtà sociali. L’invarianza della funzione simbolica intenziona nell’universo del discorso combattente una morte semantica che, a sua volta, precede la morte simbolica e la sconfitta politica e storica della lotta armata.

Il primato combattente del simbolo sulla cultura fa sì che questa sia progressivamente sottoposta da quello a un processo di consunzione storica, per mancanza di connessione e di metamorfosi: congenitamente, i simboli divengono progressivamente incapaci di comprendere ed elaborare cultura. Precisamente dall’occlusione del rapporto tra simbolo e cultura diparte il processo di morte semantica che, a sua volta, retroagisce sulle dimensioni simboliche che finiscono per cortocircuitare se stesse. La morte simbolica deriva proprio dall’iterazione ossessiva e possessiva dei moduli simbolici, ormai incapaci di funzionare come soggetto di:

a) migrazione semantica, attraverso uno spostamento di senso dal testo simbolico al testo culturale e viceversa;

b) produzione di senso, attraverso la messa a punto funzionale di una rete inventiva di nuove mappe poietiche.

Il processo di morte semantica e morte simbolica anticipa e incuba, gestendolo e disvelandolo preventivamente, il processo della sconfitta storica, politica e militare della lotta armata: ne segna, per così dire, il destino inevitabile. I più acuti critici della lotta armata, proprio rilevando puntualmente tali processi fondazionali, hanno potuto, fin dall’inizio, confutare i suoi teoremi, le sue prassi e i sistemi articolati della sua autolegittimazione simbolico-ideologica.